Raf: «La leggerezza pop degli anni Ottanta era ricchezza di idee»

L’artista venerdi 21 novembre al teatro Geox di Padova con “Self control”

«Anche una canzone d’amore può diventare d’autore»

Leandro Barsotti

Self Control 40: in realtà glianni sono diventati 41, ma Raffaele Riefoli, in arte Raf, 66 anni, porta il suo tour ancora nei teatri e sabato sarà a Padova.

Raf, da Self Control ad oggi hai attraversato generazioni di fans, e la memoria diventa un modo per leggere il presente. Cosa vedremo al Gran Teatro Geox?

«Ho iniziato il tour Self Control 40 un anno fa, e siamo cresciuti insieme allo show. La scelta dei teatri nasce dal voler dare aria a quel repertorio — ballad comprese — che nei club rischiava di non respirare. In teatro certe canzoni trovano la loro casa naturale. Qualcosa cambierà, sì: ci sarà una parte del live acustica, riarrangiata, per dare nuova vita a pezzi che negli anni sono diventati compagni fedeli del pubblico.»

Il titolo celebrativo funziona, ma è comunque un tour nuovo. Questa insistenza sul “40” è figlia del marketing ?

«La scelta non nasce propriamente da me. È anche la risposta a una domanda del pubblico. Oggi chi va ai concerti va armato di smartphone: deve far sapere di esserci stato. C’è un presenzialismo nuovo, una necessità di “esserci”, di documentare una vita brillante. Una volta si andava ai concerti per ascoltare. Oggi, spesso, anche per essere visti.»

Tu arrivi dagli ’80, e avere l’età per guardarli da lontano aiuta: come li giudichi ora?

«Sono stati anni creativi, altroché. Venivamo da una stagione di grande impegno e improvvisamente si aprì una finestra di leggerezza. All’epoca fu scambiata per superficialità, quasi un tradimento. Ora si capisce che la leggerezza è un equilibrio — non è stupidità, non è vuoto. Dal punto di vista musicale, dalla metà degli ’80 alla metà dei ’90 c’è stata una ricchezza di idee e produzioni che ancora oggi regge benissimo.»

In quegli anni hai inciso “Svegliarsi un anno fa”, “Cosa resterà”, album che hanno anticipato ciò che oggi chiamiamo pop d’autore.

«Giusto. Negli anni ’60 e ’70 c’era una distinzione rigida: pop uguale canzonetta, cantautore uguale impegno. Molti critici confondevano il pop ben scritto con leggerezza intesa come ingenuità. Ma una canzone d’amore può essere d’autore tanto quanto un brano politico. Quello che poi è stato chiamato “Indie” non è altro che pop d’autore: pop fatto bene.»

Il disco a cui sei più legato?

«Strano a dirsi: spesso è quello che ha venduto meno. Nel mio caso “La prova”. Era un album figlio delle mie radici rock, pur restando nel pop. Un lavoro che spiazzò: molti si aspettavano “quel” Raf, e invece mi presero in un’altra fase. Ma è un disco che ho amato fare.»

Poi arrivò “Infinito”, un successo radio enorme ma con una forma molto atipica.

«Quando un disco va sotto le attese, ti interroghi. Infinito era un tentativo di evoluzione del pop: c’erano elementi vicini al rap, una strofa quasi parlata, la melodia ridotta a una o due note. Una narrazione più che un canto. È stata una scommessa.»

Tuo figlio Samuele: lo vedremo sul palco?

«Per ora è concentrato sul cinema: sta per discutere la tesi. Però continua a scrivere. Abbiamo composto insieme una canzone che spero esca presto — un suo spunto, che poi ho sviluppato, e di cui vado molto fiero. Lui scrive con una poesia che mi affascina. Non ha l’istinto del palco, però ha una bella penna. E infatti lo uso come collaboratore: mi dà input preziosi.»

Dopo il tour avremo nuova musica tua?

«Sì. Mi piacerebbe un album intero, ma se i tempi non lo permetteranno uscirò con un EP, sei-sette brani. Oggi l’album non è più un concetto chiaro: viviamo in un mondo governato da TikTok e dai tempi rapidissimi della rete. Se il materiale è buono, non c’è nulla di cui imbarazzarsi: meglio uscire con qualcosa di non “completo” ma autentico, che aspettare all’infinito. Per questo ci sto lavorando.» —

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova