REPORTAGE / Dentro via Anelli fra degrado e paura

PADOVA. «Queste case stanno cadendo a pezzi e nessuno fa niente. È diminuito lo spaccio, questo sì, ma qui è rimasto il degrado. Meno male che ci sono gli alberi, almeno coprono».
Le proteste dei residenti. I residenti nella zona di via Anelli denunciano lo stato in cui versa l’area delle palazzine. Alì è uno di loro, un ragazzo tunisino che prima della chiusura abitava proprio nel famigerato complesso Serenissima. E che ora ne denuncia il degrado. «Io non ho mai vissuto qui», racconta invece Daby, un nigeriano di mezza età ormai naturalizzato padovano, «Mi avevano chiesto un milione di lire per una casa grande come una stanza e non ne valeva la pena. Però questo complesso si poteva salvare, era bellissimo. Invece lo distruggeranno. Per me è uno spreco». I residenti di via De Besi, dove è stato innalzato il muro, sono fortemente preoccupati: ad ogni pioggia, spiegano, corrisponde un allagamento degli scantinati, dove finisce per accumularsi melma fetida, a cui si accompagnano colonie di insetti, topi, sterpaglie alte più di un metro. Qualche tempo fa sono intervenuti i vigili del fuoco: si parlava di una fuga di gas. Preoccupa poi la questione sicurezza: «Sicuramente non è come prima», dice una che non vuole dare il nome, ma che racconta, «dopo la chiusura c’è qualcuno che è rimasto a viverci, poi gli edifici si sono definitivamente svuotati. Ora però vengono la sera, scavalcano i cancelli. Sono tossicodipendenti che vengono a drogarsi. Lunedì scorso erano tanti, abbiamo chiamato i carabinieri. Il problema è che rubano. Quasi ogni sera spaccano le macchine, scassinano le serrature. Non portano via le auto, cercano soldi e piccole cose da rubare, ma qui non abbiamo niente e fanno solo danni».
Dentro via Anelli. Il complesso Serenissima è blindato dal 2007, data di chiusura dell’ultimo condominio. Da allora un’ordinanza del Comune vieta l’ingresso a chiunque, compresi i proprietari. A sette anni di distanza, abbiamo potuto accedere, per la prima volta, ai cortili. L’erba è altissima, e a terra c’è di tutto: vecchi detriti, bottiglie di birra, giocattoli, siringhe usate e nuove. E poi detriti, pezzi di calcinacci che si staccano dai muri degli edifici. Nei garage circa 30 centimetri d’acqua giallastra, dove sguazzano centinaia di minuscole rane. Nel mezzo l’esoscheletro del mostro: le sei palazzine si ergono ancora nella loro interezza, ma la muffa ha invaso le grondaie, le infiltrazioni d’acqua hanno gonfiato le pareti, le finestre sono completamente distrutte. Dai vetri sfondati escono ed entrano decine di piccioni, che vi hanno trovato alloggio. Nelle palazzine non si entra: non solo per ragioni di sicurezza, ma anche perché le inferriate che dovevano blindare gli ingressi, impedendo a chiunque di accedere, sono tutte saldate. Anche le finestre dei primi piani sono chiuse e bloccate da grate fittissime. Alzando gli occhi, però, nelle zone meno visibili dalla strada, si scorgono distintamente panni stesi, scarpe alle finestre, tende vere o di fortuna che non sembrano poter risalire al 2007. E viene il dubbio che forse, nonostante l’aspetto, qualche interno regga ancora, e che qualcuno sia riuscito a trovarvi riparo, magari arrampicandosi sulle grate. Forse nomadi, forse clochard. Eppure, tra il vicinato, nessuno si sbilancia.
La paura dle Bronx. Molti preferiscono il silenzio o negano di abitare in zona. «Diciamo che io la sera vado a letto presto» si limita a dire, gentilmente, la signora del bar “La Cittadella”, all’angolo con via Grassi. Chi parla non lascia nomi: oggi la zona, a primo impatto, sembra una felice isola multietnica, dove vivono famiglie, anziani, e lentamente sta tornando anche qualche studente. Ma il ricordo del Bronx fa ancora paura. Per questo i residenti chiedono un intervento che rilanci l’area delle palazzine e, con essa, l’intero quartiere.
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