Restauri, spogliati i putti del Santo Tolte le "braghette" seicentesche

Intervento “silenzioso” sui nove altorilievi del ’500 che decorano l’Arca.  Ruggiero Marcolongo, storico dell’arte, la pensa così: "L’incarico a coprire le pudenda dei putti è stata affidata ad artisti di seconda mano perché nessuno scultore di grido si sarebbe prestato a svilire il lavoro di noti artisti"
PADOVA.
Tra le novità riservate dal restauro ai nove altorilievi della cappella dell’Arca al Santo c’è quella, poco reclamizzata, della restituzione dei putti al loro stato primigenio, “come li ha fatti mamma”. Prima, apparivano goffi nelle braghette in gesso o marmo per nascondere il pube; ora sono belli, vivaci, genuini a parlare ai visitatori, talora come protagonisti, altre volte quali personaggi esornativi che donano gaiezza alla scena. L’operazione, dice Lamberto Briseghella, direttore dei lavori, è stata condotta a termine «senza eccessiva rilevanza, per non incontrare contrasti da chi avrebbe potuto innescare polemiche. Non sappiamo in quale periodo i putti siano stati rivestiti con pannolini svolazzanti in marmo e gesso.


L’intervento, realizzato in tempo molto successivo alle sculture, prodotte tra il 1505 e il 1573, è stato compiuto da semplici artigiani». Che non esista documentazione in merito lo sostiene anche Leopoldo Saracini, uno dei presidenti dell’Arca, il quale arguisce l’imbraghettamento sia avvenuto verso la fine del ’600 o forse all’inizio del XIX secolo. Ruggiero Marcolongo, storico dell’arte, la pensa così: «L’incarico a coprire le pudenda dei putti è stata affidata ad artisti di seconda mano, asserviti ai committenti, per un pugno di denaro, perché nessuno scultore di grido si sarebbe prestato a svilire il lavoro di noti artisti». L’operazione, in tutta la Chiesa, iniziò dopo il Concilio di Trento (1563), quando fu dato ordine a Daniele da Volterra di coprire, mediante “braghettoni”, le nudità dei personaggi del Giudizio Universale, dipinto da Michelangelo nel 1535-1541 nella cappella Sistina”.


Il lavoro dei restauratori, al Santo, ha evidenziato, in alcuni casi, la difficoltà ad asportare la superfetazione, che, per ben aderire, aveva richiesto il raschiamento del marmo o l’aggancio con perni in metallo. L’unico altorilievo che non presenta putti è quello relativo a “Sant’Antonio risuscita una ragazza annegata”, capolavoro di Jacopo Sansovino, scolpito entro il 1563. Interessante per le citazioni michelangiolesche, celebre per la sequenza delle tre età umane, forse lo scultore avvertì il clima ostile della Chiesa alle nudità dei personaggi, preferendo non inserirle. Putti compaiono invece prodotti dal Sansovino nel successivo altorilievo, “Sant’Antonio che risuscita un bimbo annegato”, realizzato assieme ad Antonio Minello nel 1536.


Qui il bimbo morto, visibile ad altezza d’uomo, giacente su una rete da pesca, ha la pancina scoperta, anche se il pene risulta alquanto consunto. Pure in alto, a destra, una mamma regge in braccio un piccolo, nudo e scattoso, ma i genitali sono nascosti, addossati al petto materno. Nessun artigiano ha mai sognato, però, di imbraghettare il bimbo annegato. Troppo alto il nome di Sansovino! Antonio Minello, nel primo altorilievo a sinistra de “La vestizione di sant’Antonio” (1517), arricchisce la scena con un putto, all’estremità destra, che, ditino in bocca, s’aggancia alla gamba sinistra della mamma, di cui calpesta il piede. Eliminata la mezza braghetta, è comparso bellissimo, nonostante i massari dell’arca avessero giudicata la scultura non bella.


Il miracolo de “Il marito geloso pugnala la moglie”, scolpito entro il 1536 da Giovanni Rubino e Silvio Cosini, nella drammaticità del momento, presenta un robusto fanciullo curioso, che, stranamente, risulta coperto da una vestina scendente dalla spalla destra a coprire il sesso. Il successivo altorilievo “Sant’Antonio risuscita un giovane”, opera iniziata da Danese Cattaneo e ultimata da Girolamo Campagna nel 1573, ci mostra, sulla destra, uno splendido putto, preso per mano dalla genitrice e che tiene nella manina sinistra due ciambelle. Anche a questi è stata restituita la originale nudità. Tullio Lombardo nel “Miracolo dell’usuraio”, scolpito nel 1525, presenta, nel bordo destro, un putto saltellante, piccolo satiro, con un grappolo d’uva in mano, cui sono state asportate le braghette.


E’ simile nell’atteggiamento al bimbetto del marmo seguente, che descrive “Il Santo riattacca un piede a Leonardo”, opera di Tullio Lombardo (1525). Il piccolo, ritornato nudo, sostiene un grappolo d’uva: attimo di spensieratezza nella scena. Irruente è il putto dell’altorilievo “Il miracolo del bicchiere”, ultimato da Giovanni Maria Mosca e Pier Paolo Stella nel 1529. Trattenuto dalla mamma, sta lanciandosi a raccogliere il bicchiere. Era coperto da un velo. L’ultima scena a destra, la prima però della cappella, perché realizzata nel 1505 da Antonio Lombardo, presenta “Sant’Antonio fa parlare un neonato”. Qui i bimbi sono due e risultavano coperti da veli.


Quello in braccio a sant’Antonio è tornato splendido, come pure l’altro, in fondo a destra, legato con la manina destra alla mamma, cui porge un frutto e che sulla sinistra regge un fazzolettino. E’ il più famoso della serie, perché le ragazze in attesa di divenire mamme solevano accarezzarlo, in segno beneaugurante.

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