Riina junior e i festini a base di cocaina a Padova

PADOVA. Casa, volontariato e cocaina. È la doppia vita di Giuseppe Salvatore Riina, figlio del capo dei capi di Cosa nostra. Apparentemente un pregiudicato che osserva gli obblighi imposti dalla libertà vigilata, nella realtà spregiudicato organizzatore di festini a base di coca. Un’indagine coordinata dalla Squadra mobile di Venezia e dallo Sco (servizio centrale operativo) di Alessandro Giuliano lo fotografa come cliente abituale di uno spacciatore tunisino. Si incontravano in un bar dell’Arcella e lì comprava le dosi che poi consumava a casa invitando donne e amici. Ora rischia di finire in una casa lavoro lontano da Padova. Il giudice Linda Arata si è riservata di decidere.

Ieri mattina al Tribunale di sorveglianza di Padova era attesa l’udienza convocata per decidere se proseguire o meno con il regime di libertà vigilata per Salvo, che cinque anni fa ha deciso di cambiare vita stabilendosi a Padova. Sono riunioni periodiche che vengono convocate solitamente ogni sei mesi. Stavolta però sul tavolo del giudice è finita la relazione della Direzione distrettuale antimafia di Venezia, istruita dagli investigatori della polizia. Da settembre del 2016 a maggio 2017 sono stati accertati decine e decine di acquisti di droga. I rilievi investigativi sono stati poi completati con le dichiarazioni dello spacciatore di fiducia di Giuseppe Salvatore Riina, un tunisino arrestato sempre dalla polizia il 13 settembre scorso.
Una doccia fredda per Riina junior che proprio mercoledì sera è rientrato da Corleone dopo il funerale del padre. Una nuova tegola per l’avvocato Francesca Casarotto, che sta attendendo il pronunciamento del giudice di sorveglianza.
I dubbi sulla condotta di Salvo Riina ci sempre stati, fin dal suo arrivo in città. Dopo aver scontato 8 anni e 10 mesi in carcere per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso è stato ritenuto socialmente pericoloso. Oggi ha 39 anni ed è sorvegliato speciale a Padova dal 2012, grazie all’attività svolta nell’ambito dell’associazione “Noi” di Tina Ciccarelli. Il regime di libertà vigilata gli impone regole molto rigide. Non può frequentare pregiudicati, non può uscire di notte e non può varcare i confini della città di Padova. Anche lo stesso permesso per il funerale del padre gliel’ha dovuto firmare il giudice. Eppure la polizia ha portato a galla il suo vizio per la cocaina, che lo spingeva a tenere contatti frequenti con lo spacciatore incastrato.
A questo punto il giudice potrebbe decidere per un aggravamento della misura. Dall’irrigidimento delle limitazioni già imposte, fino alla detenzione in una casa lavoro. Ce sono quattro in tutta Italia, sono molto simili ai penitenziari ma obbligano i detenuti a lavorare per intraprendere il percorso di reinserimento sociale. Questo potrebbe obbligarlo a lasciare Padova.
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