San Leopoldo simbolo di speranza «Ora è patrono dei malati di tumore»

A un certo punto c’è un limite, come un muro. È lì - dove la scienza non può fare di più e dove il conforto umano è già tutto quello possibile - che si apre una finestra di speranza. È una questione di fede, ovviamente. Ma per chi crede, e per chi vuole farlo, una figura di consolazione è spesso importantissima. Padre Leopoldo, il santo confessore proclamato da Wojtyla, amato per il suo saper stare vicino ai bisognosi, dal 6 gennaio è ufficialmente il patrono dei malati d’Italia colpiti da tumore. La Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti ha accolto la richiesta presentata dai frati cappuccini e da un gruppo di medici padovani nel 2016 e sostenuta da quasi 70 mila firme. L’annuncio lo ha dato ieri, in diocesi, il vescovo Claudio Cipolla.
«la chiesa più ricca»
Sottolinea, il vescovo, la singolare coincidenza di tempi: «La notizia arriva proprio mentre a Padova celebriamo il volontariato, cioè l’impegno dell’uomo e della società. In questo contesto è bello riconoscere che da soli non ci bastiamo e che in certi casi - per esempio di fronte a una malattia - abbiamo bisogno di un sostegno». Padre Leopoldo Mandic da Castelnuovo (Montenegro), morto di tumore all’esofago nel 1942, ha fatto l’esperienza della malattia, dopo aver passato la vita a portare conforto. «La sua figura», aggiunge don Claudio, «è la più adeguata per supportare i malati, i loro familiari e anche gli operatori sanitari. Con lui, la chiesa padovana si arricchisce e la città è ancora di più al centro dell’attenzione».
piccolo e grandissimo
Una vita spesa in un minuscolo confessionale. L’adorazione di massa, nell’anno del Giubileo, il 2016, durante l’ostensione a Roma. «La santità di Leopoldo ci parla ancora», dice con orgoglio fra Mauro Jöhri, ministro provinciale dei Cappuccini al tempo in cui è partito l’iter per il riconoscimento come patrono. «E la sua grandezza assume ancora più forza accanto allo sforzo umano e scientifico». «Siamo umilmente orgogliosi», aggiunge fra Roberto Tadiello, attuale ministro, «perché il saper stare presso, che era un tratto di Leopoldo, ancora oggi sprigiona forza. Ringraziamo papa Francesco che ha accolto e appoggiato il voto dei fedeli e dei devoti».
trent’anni dopo
La prima richiesta alla Congregazione era partita nel 1987, con 13 mila firme raccolte fra Veneto e regioni vicine. Ma è stata l’adorazione di massa del 2016, durante il Giubileo, a rilanciare la proposta di riconoscimento di san Leopoldo come patrono dei malati di tumore, “ruolo” che è già nei fatti, se si considera il massiccio pellegrinaggio, da mezza Europa, alla tomba di Leopoldo. «A dicembre del 2017 abbiamo avuto conferma che l’iter era ripartito», racconta fra Flaviano Gusella, rettore del santuario di San Leopoldo. «E a novembre del 2018 ci è arrivato il comunicato dell’assemblea della Cei. L’ultima domanda è stata presentata a metà dicembre del 2019, venti giorni dopo c’è stata la firma dell’arcivescovo segretario Arthur Roche».
«la consolazione»
L’anno scorso in Italia 371 mila persone hanno avuto una diagnosi di tumore. «La prima risposta è una buona terapia», dice il direttore dell’Ufficio di pastorale della Cei, don Massimo Angelelli. «Ma chi è malato ha anche bisogno di relazioni, perché si sente solo e sperimenta una condizione di vulnerabilità». La chiesa entra in scena negli ospedali con 1.400 cappellani della Pastorale della salute, perché non sempre le famiglie ci sono come dovrebbero. «Una comunità intorno a chi sta male è di grande conforto», insiste don Massimo. «Si parla tanto di fine vita, ma è stato dimostrato che un malato che ha qualcuno vicino, che trova nel sostegno la forza per reagire, recupera la voglia di vivere. Ecco perché dobbiamo prendere padre Leopoldo come sostegno e anche come modello. Perché le comunità possono essere sananti, vicine al prossimo e a chi è più fragile». —
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova