Sanità pubblica, tra attese infinite e macchinari guasti: la testimonianza di un lettore
Nella rubrica “Dillo al Mattino”, l’esperienza al pronto soccorso tra macchinari guasti, lunghe attese e frustrazione: «Una brutta caduta e la lastra mancata. Bisogna salvare la dignità della sanità pubblica»

La lettera del lettore alla rubrica Dillo al Mattino
“Invecchiare è destino comune, ma invecchiare bene — con cure tempestive, strutture funzionanti e personale sufficiente — dovrebbe essere un diritto garantito. Basta un attimo, uno scivolone, una caduta improvvisa per ritrovarsi vulnerabili, con una spalla che fa male e il timore che il danno sia più serio di quanto sembri. È in quei momenti che ci si affida al sistema sanitario, pubblico o privato, chiedendo solo attenzione, diagnosi e cure. È quello che è accaduto nelle scorse ore a me, padovano.
Dopo una brutta caduta, impossibilitato a sollevare il braccio, ho scelto di recarmi al Pronto soccorso della Struttura sanitaria berica – Ulss 8 nel basso vicentino, pur essendo residente nell’Ulss 6 Euganea. L’accoglienza del personale infermieristico è stata immediata e gentile: un primo sollievo in mezzo alla preoccupazione.
Poi però la realtà si è fatta molto più lenta. Sei persone in sala d’attesa, ore che passano, nessuna chiamata e la comunicazione che la macchina per le radiografie non è funzionante come pure la Tac, anche la connessione dava problemi.
Ad una signora anziana, accompagnata dalla figlia, dopo quattro ore di attesa viene fatta la lastra e dopo due ore e mezza le vengono dati gli esiti dell’esame. Le viene refertata una costola rotta, ma la macchina della Tac non funziona e non si sa quando funzionerà. Le vengono proposte due ipotesi: rimanere là, su un lettino tutta la notte sperando che il giorno dopo venga riattivata la macchina o portarla all’ospedale di Vicenza. Impaurita e stanca, con un filo di voce si rivolge alla figlia e le chiede di poter ritornare a casa. Con un nodo alla gola assisto a tutto questo, mi verrebbe voglia di abbracciarla e raccontarle che quello che sta accadendo oggi non è normale nella sanità pubblica – considerata fiore all’occhiello del Veneto – ma non riesco a dirle una bugia. Un imprevisto tecnico che si traduce in tempo, in attesa, dolore e frustrazione.
Anch’io già la mattina stessa, tramite una piattaforma sanitaria privata, avevo prenotato una radiografia per il giorno successivo alle 10. Un esame fatto in tempo reale senza tempi di attesa, ma poi avevo pensato di usare la struttura sanitaria pubblica disdicendo la prenotazione.
Quindi un servizio rapido, attivo con pochi clic, efficiente, ma a pagamento rispetto a quello pubblico con l’esito dopo circa sei ore. La differenza tra due mondi che corrono su binari paralleli, sempre più distanti.
Il racconto diventa testimonianza della frattura che molti italiani percepiscono ogni giorno: da un lato la sanità privata, veloce ma accessibile solo a chi può permettersela; dall’altro la sanità pubblica, fatta di personale spesso encomiabile, ma lasciato senza risorse, con macchinari obsoleti e organici ridotti a all’osso.
La politica celebra le vittorie elettorali, ma passate le urne rimangono i corridoi pieni, le liste d’attesa infinite, le ore trascorse in un pronto soccorso. In un Paese civile il diritto alla cura non può diventare una possibilità solo a pagamento.
I numeri dell’astensionismo recentissimo parlano chiaro: circa il 56% dei cittadini non ha votato. In Veneto l’affluenza è crollata di circa il 16% rispetto all’anno precedente. Una disaffezione che sembra diventare un messaggio silenzioso, ma non indecifrabile: la fiducia nei servizi essenziali, sanità in primis, si sta sgretolando.
Non si tratta di un caso personale, ma di un campanello d’allarme. Questa storia non è solo la cronaca di una caduta o di una lastra mancata. È lo specchio di una condizione diffusa: un sistema che esiste grazie alla dedizione di chi ci lavora, ma che rischia di non reggere più a lungo se non sostenuto da investimenti adeguati.
Invecchiare è inevitabile, ma invecchiare con dignità dipende dalle scelte collettive politiche ed economiche. Dipende da quanto, come Paese, decideremo di difendere la sanità pubblica non come un costo, ma come un patrimonio comune. Il diritto alla cura non può essere una fortuna, deve essere una realtà”.
Di Giorgio Mattoschi
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