Scandalo al Due Palazzi di Padova: comandavano i clan

Ben 31 gli indagati, 48 i capi d’accusa: il pm Dini chiude l’indagine sul carcere. Coinvolti 5 agenti, un avvocato, 18 detenuti e sette persone tra parenti e amici

PADOVA. Scandalo nel carcere Due Palazzi: a cinque mesi dal blitz destinato a provocare l’arresto di 15 persone, tra cui sei agenti di polizia penitenziaria in servizio nella struttura, le cifre sono più che raddoppiate ora che il pubblico ministero padovano Sergio Dini ha chiuso formalmente l’indagine e si prepara a chiedere il processo. Così gli indagati sono passati a 31. E i fatti contestati da 20 sono saliti a 48. Comandavano i clan, Sacra Corona Unita e Nuova Camorra Organizzata, la famigerata Nco specialista in gioco d’azzardo e omicidi, contrabbando e totonero, spaccio e pizzo.

E anche un super-detenuto come Domenico Morelli, classe 1956, affiliato alla Nco del boss di Ottaviano Raffaele Cutolo, già evaso nel 1993 e poi sottoposto al regime duro del cosiddetto 41 bis tanto combattuto dai mafiosi. Erano loro a dettare leggi e regole nel reparto del Due Palazzi affidato a un gruppetto di agenti di polizia penitenziaria, corrotti e tossicomani, guidati dall’agente Pietro Rega, il più “avvicinabile”, l’unico ancora rinchiuso in una cella del penitenziario di Santa Maria Capua a Vetere, interrogato appena due settimane fa. Lui (volto noto tra le guardie di scorta ai detenuti in tribunale) e i colleghi facevano entrare di tutto dietro le sbarre: eroina, hashish, cocaina, metadone e pasticche di ecstasy, poi cellulari, schede sim, chiavette usb e pc. In cambio di soldi e di droga. Compravano per i reclusi. E compravano per se stessi, sniffando e fumando durante i turni di servizio oltreché negli alloggi riservati al personale carcerario.

È ormai completo il quadro di un’inchiesta esplosiva che si è lasciata alle spalle due morti suicidi (un detenuto per omicidio, Giovanni Pucci, e un agente arrestato, Paolo Giordano) e un clima di sospetti all’interno di una struttura considerata, da tutti, un vero e proprio modello.Struttura che sforna un’apprezzata rivista (Ristretti Orizzonti) e offre occasioni di lavoro con il laboratorio di pasticceria gestito dalla cooperativa Giotto e di amicizia con la squadra di calcio Pallalpiede.

Eppure il commercio in carcere era in mano a due boss, Gaetano Bocchetti, padrino dell’Alleanza di Secondigliano, e Sigismondo Strisciuglio, noto come il viceré di Bari vecchia, esponente della Sacra Corona Unita. E com’è nello stile di due boss, erano altri detenuti della loro corte a fare da intermediari con le guardie per procurare quanto ordinavano i due capi che non volevano mai stare senza riserva di stupefacenti. Un altro personaggio-chiave, pronto a pagare il prezzo della corruzione, era Adriano Patosi, albanese pluripregiudicato che aveva “in libro paga” l’agente Pietro Rega, piegato alle sue richieste. E a quelle dell’avvocato rodigino Michela Marangon che – stando alle accuse della procura – avrebbe versato 500 euro a Rega per garantire il flusso di eroina a un suo assistito (Antonino Fiocco) e alleggerire la vigilanza nei suoi confronti.

Bastava pagare e anche un recluso come Domenico Morello, sottoposto al carcere duro dei mafiosi previsto dalla norma 41 bis, poteva farsi consegnare un cellulare e “parlare” con il mondo. Ecco la marea di accuse: corruzione continuata e aggravata, spaccio di stupefacenti (pure con una valanga di aggravanti), e ancora agevolazioni ai detenuti sottoposti a particolari restrizioni stabilite dall'ordinamento penitenziario, infine favoreggiamento e omessa denuncia di reati. Già perché chi avrebbe dovuto controllare, in realtà commetteva reati gravissimi.

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