Stroncata a 31 anni, sette medici assolti

Senza responsabili la morte di Marta Cimento, vittima di uno choc settico. La procura non farà ricorso in appello
BARON - MARTA CIMENTO BARON - MARTA CIMENTO
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di Carlo Bellotto

La morte di Marta Cimento non ha colpevoli. Così ha deciso il giudice Cristina Cavaggion che ieri ha assolto i 7 medici che erano a giudizio per cooperazione in omicidio colposo. L’ortopedico Andrea Borgo, il radiologo Alberto Lauro, Maria Bianchini, Mechthilde Adam e Alberto Dall'Antonia del Pronto soccorso sono stati assolti perchè il fatto non costituisce reato. Giulia Castiglione (pure lei del Pronto soccorso) e il radiologo Federico Angelini per non aver commesso il fatto. Il pm Federica Baccaglini aveva chiesto la condanna a 5 mesi di reclusione ciascuno, ad eccezione di Mechthilde e Lauro per il quale lei stessa aveva sollecitato l’assoluzione. Prima della sentenza c’era stata l’arringa degli avvocati difensori, Carlo Augenti, Barbara Bisinella e Lorenzo Locatelli. «Ognuno dei medici deve rispondere per le proprie competenze - aveva detto Locatelli - un medico di Pronto soccorso non può essere specialista in tutto. Marta è stata visitata per i dolori che diceva di avere». Il pm Baccaglini ha ribattuto che spettava ai medici fare la diagnosi e un minimo di accertamento sulla paziente, ma che in questo caso nessuno ha capito che cosa avesse la paziente e tanto bastava per giustificare la colpa medica. Non riconosciuta dal giudice (la procura non farà nemmeno ricorso in appello). Marta, vice presidente dell’Opera Nomadi di Padova, morì a 31 anni il 5 gennaio 2008 a causa di una fascite necrotizzante, una setticemia diagnosticata soltanto dopo l'autopsia. Il 3 gennaio si era rivolta al Pronto soccorso: aveva febbre, diarrea, nausea, un forte dolore alla spalla e una limitata funzionalità al braccio. Venne visitata ma fu rispedita a casa per un supposto «colpo di frusta». All'alba del 5 gennaio tornò in Pronto soccorso a bordo di un'ambulanza: la febbre era salita a 39 gradi, il vomito era inarrestabile e lancinante il dolore a un fianco. Costretta a ore di attesa sulla barella prima di essere sottoposta ad accertamenti specialistici ed esami, fu colpita da una crisi cardiaca nel primo pomeriggio. Qualche ora più tardi la morte davanti agli occhi dei medici.

ASSOLUZIONE SCANDALO

«E’ uno scandalo. Una tragedia dai risvolti Kafkiani. Mi pare impossibile che una ragazza entri viva all’ospedale e ne esca morta due giorni dopo». Celestino, il papà di Marta Cimento è rimasto deluso e arrabbiato dalla sentenza. L’ha attesa assieme alla moglie Ada seguendo tutte le udienze e anche quella di ieri che si è svolta nell’aula della Corte d’Assise. Quando il giudice Cristina Cavaggion ha terminato di leggere il dispositivo lui è andato a stringere la mano, al pm Baccaglini, ringraziandola. «Sia il giorno 3 che il 5 nessuno ha capito nulla - aggiunge Celestino Cimento - il primo giorno era troppo presto per capire e l’altro troppo tardi per intervenire. Mi vien da dire che la colpa di Marta sia stata quella di non essersi presentata il 4. Oltre a quella, più evidente di non essersi fatta la diagnosi da sola. Capisco che è stato fuorviante l’incidente stradale subìto ma non è stato fatto nulla per capire cos’avesse Marta. Era un processo che si presentava difficile e i medici hanno avuto buon gioco. Ora seguiremo la causa civile».

LA CAUSA CIVILE

Il capitolo civile si è aperto nel maggio scorso. I genitori della ragazza chiederanno all'Azienda ospedaliera un milione e mezzo di euro di risarcimento per i danni patiti. I genitori avevano revocato o la costituzione di parte civile nel processo penale (dov’erano assistiti dai legali Marina Infantolino e Stefano Bonomo).

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