Su Fb ai domiciliari, ritorna in carcere. Ma la Cassazione dice no

PADOVA. “Navigare” online e sentirsi liberi. Forse ancora più liberi, abbandonandosi al flusso della rete e all’infinita possibilità di comunicare offerta dai social. Una sensazione irresistibile per chi vive una condizione di detenzione, anche se da recluso più fortunato di altri perché non costretto dietro le sbarre, ma in una prigione domestica.
Sarà per sentirsi “connesso” con il mondo che Donato Antonio Piccioli, 39enne brindisino – una vita spesa in anni di guai con la giustizia per storie di droga nel Padovano nonostante l’arruolamento nel Sena Rugby, squadra marchigiana – non aveva resistito alla tentazione di avere un profilo Facebook, condividere post ed esprimere il proprio gradimento con i “like”. Alla faccia della libertà “congelata”.
Uno scivolone che lo ha rispedito dritto in galera per scontare due anni e 8 mesi di carcere, inflitti con rito abbreviato dal gup di Padova il 23 aprile 2015, quando i carabinieri hanno scoperto il suo profilo Facebook tutt’altro che inattivo.
Ma lui Donato Antonio Piccioli non si è rassegnato. Ha impugnato l’ordinanza del tribunale di Sorveglianza di Lecce del 28 giugno 2016, destinata a revocare gli arresti domiciliari che stava scontando in Salento. E ha vinto. I giudici della Cassazione hanno azzerato la revoca, rinviando il caso al tribunale di Sorveglianza per una nuova valutazione alla luce delle considerazioni da loro espresse che riconoscono le ragioni del detenuto.
«L’uso di Internet non può essere considerato vietato tout court quando... abbia funzione conoscitiva o di ricerca...» scrive la Prima sezione penale della Cassazione, «L’ordinanza impugnata si è limitata a revocare gli arresti domiciliari in forza di un automatismo basato sulla mera presa d’atto della pura e semplice violazione della prescrizione (il divieto di comunicare con l’esterno), disancorata dall’indicazione di specifici elementi di fatto (ad esempio il contenuto delle comunicazioni)».
Insomma secondo i giudici doveva essere accertato che cosa avesse davvero combinato il recluso tramite il social. Al contrario, nel provvedimento di revoca dei domiciliari si faceva un generico riferimento alla tipologia dei siti visitati e alla condivisione di alcune foto relative al Fronte Europeo per la Siria accompagnate da alcuni “mi piace”.
Per la Sorveglianza, invece, solo visitando quel profilo “Fronte Europeo..., condividendo foto e cliccando qualche “like”, Piccioli aveva violato le regole imposte agli arresti domiciliari rendendo «la misura inidonea ad assicurare la finalità di rieducazione e reinserimento sociale del detenuto». La Cassazione non è d’accordo: «Non ci si può limitare al singolo episodio...». Bisogna «valutare il contenuto dei contatti intrattenuti con terzi e la complessiva condotta».
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