«Suicidi: prevale la pietas sul dogma»

Il giurista Rodotà: riscoprire l’etica nella politica e negli affari, chi governa deve dare risposte
SALMASO - STEFANO RODOTA'
SALMASO - STEFANO RODOTA'

«La coraggiosa posizione della Diocesi di Padova nei confronti degli imprenditori che si sono uccisi travolti dalla crisi economica? Mi pare un segno della pietas cristiana e dimostra che la Chiesa non può essere chiusa nel dogma».

Stefano Rodotà, giurista, già garante della privacy e ordinario di Diritto civile alla Sapienza di Roma, entra nell’aula magna del Bo accompagnato dalla costituzionalista Lorenza Carlassare, che lo aggiorna sui fatti di cronaca. Il Nordest è in prima linea per le morti sul lavoro: chi è soffocato dai debiti si toglie la vita e Rodotà, prima di analizzare la profonda crisi morale della politica con la corruzione che dilaga, parla di etica negli affari.

«I suicidi? Sono un segno della crisi dei tempi e le istituzioni hanno dei doveri da cui non possono derogare: a loro spetta l’obbligo d’intervenire nel pieno rispetto della Costituzione che all’articolo 3 indica come compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. I più deboli vanno aiutati e non si possono trascurare questi segnali: i suicidi non sono episodi isolati, ma nascono da un contesto di crisi profonda da cui non si sa ancora come uscire», afferma il professor Rodotà. Salutato da un applauso, apre la lezione con un appello coraggioso: «La politica deve tornare all’etica e le cronache sembrano dei bollettini di guerra a giudicare dalle inchieste avviate su fatti di corruzione. La moralità è stata sepolta, mentre l’etica della responsabilità rappresenta un vincolo che il legislatore utilizza per frenare la bioetica: penso alla procreazione assistita, alle unioni di fatto, ai casi Welby ed Englaro su cui molto si è discusso».

Ma c’è un’etica degli affari e Padova che ha creato proprio Banca Etica che sfida ha lanciato al mercato?

«Siamo ad un punto drammatico perché chi governa ha accettato come naturale il rispetto di regole spietate: gli spiriti animali della concorrenza selvaggia portano all’autodistruzione perché tutto ciò che non è efficace viene considerato un vincolo da rimuovere. I suicidi vanno inseriti in tale contesto e quindi bisogna saper mettere un limite alla logica di mercato».

E Rodotà dà un giudizio molto netto alle iniziative della Diocesi padovana: «Di fronte al dramma dei suicidi legati alla crisi, la pietas cristiana prevale sul rigore dogmatico. A Welby la curia romana aveva negato i funerali religiosi, qui si apre una questione nuova, che incoraggia al dialogo».

Sono le 18 e 30 e il giurista (deputato dal 1979 al 1994 e presidente-fondatore del Pds) affronta il tema della perdita di legalità della casta che nella prima Repubblica si salvava negando le autorizzazioni a procedere anche a quei parlamentari sorpresi al volante senza patente. Un’autoassoluzione garantita della Procura di Roma, il porto delle nebbie dove le inchieste venivano insabbiate: con tangentopoli la magistratura ha fatto valere il principio di legalità anche contro ministri e leader di partito e ha spazzato via Dc e Psi, Pri, Pdsi etc. Vent’anni dopo il terremoto si ripete e oggi c’è chi vorrebbe secretare gli atti giudiziari. «No, state tranquilli», aggiunge il professor Rodotà, «la legge sulla privacy non tutela chi ricopre una funzione pubblica. Non stiamo parlando solo di ministri, sindaci e governatori ma anche di personalità dello spettacolo e dello sport: questo dice la giurisprudenza anglosassone, applicata anche in Italia».

Fuor di metafora, i giornali che pubblicano le intercettazioni telefoniche fanno il loro dovere nel pieno rispetto della legge, anzi garantiscono la massima trasparenza, la forza della democrazia».

Ma c’è un passaggio decisivo nella lezione del professor Rodotà che va sottolineato: chi accetta una carica elettiva presta giuramento alla Costituzione che all’articolo 54 recita poche ma chiare parole: «Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore.....».

E’ a questi principi che si è ispirato il presidente Napolitano nei suoi messaggi, quando ha spalancato la porta ai professori di Mario Monti, per girare pagina e dire addio al «re del burlesque».

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova