Terremoto, al Santo in sicurezza: "La festa del 13 giugno sarà in basilica"

Esclusa la possibilità di un trasferimento in Prato della Valle della festa del 13 giugno: lo può decidere solo il Vaticano. Completata l'ossatura del tunnel, manca la rifinitura

PADOVA. Continuano i lavori di monitoraggio al Santo dopo il terremoto. La scossa delle 21,20 di domenica ha provocato la caduta di polvere di stelle, un’incipriata cancellata a colpi di scopa. Per montare il tunnel nell’ambulacro che permetterà ai fedeli di raggiungere senza angoscia la cappella delle reliquie, gli operai hanno lavorato dalle 20 alle 6 del mattino di due notti. Domani il sottopasso sarà pronto e l’agibilità sarà ufficializzata giovedì.

C’è speranza che la fiducia resista, sono molti i fedeli che chiedono se la chiesa sia sicura, dovrebbe rincuorare il fatto che il consulente della veneranda Arca è l’ingegner Lamberto Briseghella. Professore di dinamica delle strutture, è quello che ha diretto il restauro del duomo di Gemona, un professionista di assoluto spicco. Oltre alle tavole montate sulle impalcature saranno montate anche delle reti così da rendere impossibile qualsiasi incidente. Niente è stato trascurato, quindi per garantire la più completa sicurezza.

Chiediamo a Leopoldo Saracini, responsabile per l’Arca, della tutela delle opere d’arte del Santo se esista la possibilità che la grande celebrazione del 13 giugno avvenga all’esterno, magari in Prato della Valle utilizzando teleschermi. Perché il vero pericolo non è tanto un crollo quanto una scossa che scateni il panico tra i fedeli. Saracini risponde di no, che il telaio della chiesa è robustissimo, che di terremoti in 700 anni ce ne sono stati almeno una sessantina e il Santo ha tenuto botta, il Santo è Provvidenza.

D’altra parte per chiudere la chiesa al culto nel giorno della celebrazione sarebbe necessaria una presa di posizione decisa da parte della Santa Sede. Ma chi vuol prendersi questa responsabilità? Vero è che il Santo ha sempre protetto la città, ma non sempre la sua Casa. Nel 1117 uno spaventoso terremoto devasta la valle padana da Pavia a Trieste: , a Padova il duomo è raso al suolo e la chiesa paleocristiana di Santa Giustina è gravemente danneggiata, il Santo non c’è ancora e nemmeno la chiesetta di S. Maria Mater Domini.

Ma la grande basilica c’è nel 1630 quando esplode la polveriera del Maglio facendo crollare mezza chiesa. La catastrofe di maggior portata avviene nel 1749 quando un terribile incendio trasforma la chiesa in una fornace in cui si fonde anche il bronzo delle campane. Soprattutto nel seicento la basilica resiste ad una serie ripetuta di terremoti. Fino ad arrivare al fatidico 1976, il terremoto del Friuli. Non mancano i danni alla basilica, crolla, per esempio, il soffitto nella parte più antica della chiesa, la Cappella della Madonna Mora. Il Santo comunque ha già fatto un miracolo con la fine dei lavori di copertura dell’intera chiesa giusto una settimana prima del terremoto, altrimenti sì che sarebbero stati guai.

Anche un altro simbolo di Padova rischia di pagar care le conseguenze del sisma: il settecentesco palazzo Maldura, sede della biblioteca di Lettere, resterà chiuso fino a data da destinarsi. Ha abbassato la saracinesca a seguito della scossa di giovedì scorso e sarebbe dovuto tornare in piena attività ieri. Ma a seguito di un sopralluogo di tecnici del Bo e periti della Procura, i vertici dell’ateneo hanno deciso di proseguire le verifiche statiche, anche alla luce del trasloco di un chilometro di libri che ha avuto inizio lunedì.

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