Tiziano il maestro della pittura libera perfino dal potere

di Enrico Tantucci
INVIATO A ROMA
Dalla luce alle tenebre. Dal luminoso classicismo cromatico delle opere giovanili dell’artista uscito dalle botteghe dei Bellini e in parte di Giorgione, al colore che si disfa e si fa materia viva, tenebrosa e cangiante, nell’assoluta libertà espressiva e sperimentale della sua fase tarda, quasi un “action painting” ante litteram. visto tra l’altro l’uso frequente delle dita per spandere il colore, proprio degli ultimi anni. Ruota intorno a questo confronto la grande mostra dedicata a Tiziano che si inaugura oggi a Roma alle Scuderie del Quirinale e che chiude idealmente un ciclo espositivo dedicato alla centralità della grande pittura rinascimentale veneziana, passato anche attraverso le mostre dedicate a Giovanni Bellini, Lorenzo Lotto e Tintoretto. Sarebbe un errore infatti giudicare la mostra antologica curata da Giovanni Villa, come la nuova celebrazione “totale” dell'opera di Tiziano, dopo le esposizioni veneziane del 1935 a Ca’ Pesaro e del 1990 a Palazzo Ducale. Perché questa mostra - attraverso le 39 opere che la costituiscono, molte delle quali assolutamente straordinarie - è sì una nuova, importante tappa nella rilettura dell'opera dell’artista cadorino, ma non ha, né può avere, la pretesa di esaurirla, per la monumentalità della dimensione dell’opera di Tiziano. Basti pensare, fra i tanti, solo a tre teleri come il “Ritratto di Carlo V a cavallo” (al Prado), a quello di Isabella d'Este (al Kunstistorisches di Vienna) o alla “Venere allo specchio” (alla National Gallery di Washington ) che sono comunque pietre miliari della pittura tizianesca e che non sono a Roma, per comprensibili motivi organizzativi. E tuttavia ciò non sminuisce certo la rilevanza della mostra che non si affida, almeno inizialmente, a un criterio cronologico, ma che al contrario si apre e si chiude con due capolavori assoluti del Tiziano tardo. Ad accogliere i visitatori c’è infatti il gigantesco “Martirio di San Lorenzo”,restaurato per l'occasione e proveniente dalla chiesa dei Gesuiti di Venezia, in cui la scena del martirio del Santo sulla graticola - per la cui postura Tiziano si ispirò a una scultura come “Il Galata morente” della Collezione Grimani - è immerso in un’oscurità squarciata dai bagliori di una luce drammatica che si irradia alle spettrali architetture classiche che avevano impressionato l’artista dopo il suo soggiorno romano. A salutarli invece, al termine dell’esposizione, la celeberrima “Punizione di Marsia” - custodita nella pinacoteca di Kromeriz- uno dei massimi capolavori dell’ultima maniera di Tiziano. Anch’esso un martirio, ma profano e ugualmente tragico, ritratto dall’artista con una stesura pittorica a larghe masse cromatiche, con una materia incandescente in cui Tiziano probabilmente si ritrae nel pensoso re Mida che assiste impotente, con lo scorticamento del satiro - secondo la lettura di Augusto Gentili - alla fine del mondo naturale e primitivo incarnato da Marsia e all’avvento della civiltà dell’armonia razionale rappresentata da Apollo, il carnefice. Intorno a questo nucleo, ruota il cuore dell'esposizione che esamina anche la produzione giovanile dell’artista, ma è incentrata soprattutto sul Tiziano sommo ritrattista e sulla rappresentazione fisiognomica del potere nascente o maturo che seppe incarnare nei suoi dipinti come nessun altro, non solo nella stupefacente resa cromatica e nella magnificenza dei tessuti e dei ornamenti (basti pensare ai bagliori dell'armatura del Ritratto di Francesco Maria della Rovere) ma anche nella suprema capacità introspettiva. Che si tratti del Ritratto di Ranuccio Farnese, nipote di papa Paolo III, in cui il contrasto è tra il corpo esile del fanciullo, la sua espressione timida e sperduta e il pesante mantello nero, simbolo del potere nascente, appoggiato sulle spalle. O che sia quello di Carlo V, ieratico e autoritario con il cane muto e adorante sotto il suo braccio, dal Prado. O che siano i ritratti di dogi fieri e invecchiati, spietati nel loro realismo e nella loro umanità disvelata, come quelli di Marcantonio Trevisan o Francesco Venier. O di papi, come quello di Paolo III senza camauro , il berretto papale, come indifeso ai nostri occhi. E ci sono, naturalmente, i due autoritratti di Tiziano. Quello del Prado, posto all'inizio della mostra, e quello oggi a Berlino, con la catena che si staglia sulla camicia chiara, effigie del cavalierato conferitogli da Carlo V. Perché la mostra, come ricorda anche Antonio Paolucci in uno dei saggi introduttivi del catalogo (Silvana editoriale), è anche sul sistema Tiziano e sulla sua “officina di immagini”. Cioè su un artista che dalla casa-atelier Veneziana di Biri Grande seppe tessere e governare una fitta rete di relazioni internazionali funzionali alla sua affermazione professionale. La mostra romana di Tiziano è fatta anche di confronti iconografici. Tra i molti , quello tra la Crocifissione della chiesa dei domenicani di Ancona, il Crocifisso dell’Escorial di Madrid e il frammento di Crocifissione oggi alla Pinacoteca Nazionale di Bologna. E quello, ad esempio, tra la Flora e la Giuditta, l’una accanto all'altra, in un confronto di sensualità e di grazia. Ma anche opere come la “Danae” da Capodimonte , o l’”uomo con il guanto”, dal Louvre, giustificano, da sole, un viaggio a Roma.
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