«Tomboy», la ragazzina che volle farsi maschio

Può trasformarsi in un blockbuster questo film di Celine Sciamma
Una scena da «Tomboy», il film girato da Celine Sciamma con 500 mila euro
Una scena da «Tomboy», il film girato da Celine Sciamma con 500 mila euro
 
VENEZIA.
In principio fu Hilary Swank, con il suo volto spigoloso ed androgino, a travestirsi da ragazzo e spacciare la sua femminilità (reale) per spiccata sensibilità maschile. Era il 1999: l'attrice vinse il suo primo oscar con «Boys don't cry», storia ai margini della provincia americana, dove lo scambio di identità sessuale esplodeva in una tragedia sporca e cattiva. Nel 2003, una ragazzina di 12 anni afghana, per sfuggire alle persecuzioni del regime talebano, si nascondeva all'ombra del nome maschile di Osama, lei che alla nascita era stata battezzata come Maria.  «Osama», per l'appunto, era il titolo di quel film di denuncia, sensibile e coraggioso. Donne fuori gioco anche nella commedia del regista iraniano Jafar Panahi che, nel 2006, con «Offside» filmava le peripezie delle tifose di calcio iraniane, che non potendo entrare allo stadio - riservato agli uomini - escogitavano travestimenti mascolini ed altre ingegnose soluzioni per vedere la partita.  Oggi, al cinema, c'è la storia di un'altra ragazzina che volle farsi maschio: è la splendida protagonista di «Tomboy» (inglese per «maschiaccio»), piccolo film francese, diretto da Celine Sciamma, che, girato in 20 giorni con un budget minuscolo di 500.000 euro, ha attirato, solo in patria, un pubblico di 280.000 spettatori, diventando un vero e proprio caso della passata stagione cinematografica.  Sull'onda del successo francese, «Tomboy» arriva in Italia: senza attori famosi, senza scorciatoie da commedia degli equivoci, senza adrenalina ma con tanto sentimento, setacciato con garbo dalla quasi esordiente Sciamma.  Non è un dramma dell'identità sessuale alla «Boys don't cry», né un film di denuncia. Piuttosto un racconto di formazione sui generis, una storia, personalissima, sulla fine dell'infanzia.  Quella di Laure (Zoè Heran), 10 anni, che si è appena trasferita con la famiglia per le vacanze, insieme alla mamma, in attesa del terzo figlio, alla sorella e al padre. Un pò per gioco, un pò per un inconscio desiderio di essere accettata e di comunicare più facilmente con gli altri, Laure si presenta ai nuovi amichetti come Mickael.  Il capello corto, l'espressione decisa, quasi dura, la mancanza di indici rivelatori di una femminilità ancora acerba, permettono a Laure/Mickael di portare avanti l'inganno, talmente ben riuscito da far innamorare la coetanea Lisa. La bugia sarà scoperta, con grande delusione di tutti.  «Tomboy» è un film luminoso: non racconta la storia di un bambino omosessuale, né si crogiola nell'ambiguità del tema affrontato che, anzi, la Sciamma osserva sotto la lente di una innocente confusione sessuale, poetica e delicata.  Nel finale Lisa ritrova colui/colei che l'ha fatta soffrire, come se le due bambine si conoscessero per la prima volta: «Piacere, Laure». Un epilogo aperto e sincero che spalanca le porte di una nuova storia.  

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