Traffico di droga, Mister Bitcoin condannato a 7 anni e 8 mesi

PADOVA. Difficile guardare a un futuro di libertà in tempi brevi. Sette anni, 8 mesi, una multa di 28 mila euro e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici è la condanna inflitta con un giudizio abbreviato a Emanuele Lovato, il “dottore” com’era soprannominato il 36enne ex titolare del bar Alexander in via San Francesco, punto di riferimento del mondo antagonista padovano, finito dietro le sbarre il 9 ottobre 2018 con l’accusa di aver messo in piedi una rete per vendere droga spacciata a centinaia di clienti tra professionisti e studenti.

E per il reato di autoriciclaggio, ovvero l’aver investito i guadagni di quell’attività criminale in moneta virtuale, bitcoin ed ethereum: si tratta della prima condanna in assoluto per un’attività di “lavaggio” di danaro sporco con quelle modalità, tramite l’acquisto di criptovaluta, monete digitali che riescono a nascondere mittente, destinatario e valore della transazione pure ai terzi che fanno parte della “catena” di clienti. Non solo. Nella sentenza di condanna è stata prevista la confisca delle somme sequestrate durante l’inchiesta, sia in euro sia in moneta virtuale (difensore l’avvocato Giorgio Pietramala). Il pm Benedetto Roberti aveva chiesto 8 anni.
Gli altri coimputati
Sempre in abbreviato sono stati condannati Pietro Pasqualin, 22enne di Treviso a 2 anni, 8 mesi e 16 mila euro di multa e Nicola Manildo, 23enne, a 2 anni, 9 mesi e 16 mila euro di multa (entrambi difesi dal legale Alessandra Nava). Hanno patteggiato 2 anni e 2.600 euro di multa con la condizionale Lorenzo Dal Fabbro, 24enne di Trento, studente universitario a Padova (avvocato Limentani); 2 anni e 1.200 euro di multa con la condizionale Luca Tresoldi, 26 anni di Bassano del Grappa (avvocato Taras); 6 mesi in continuazione con una precedente sentenza di condanna per un totale di 4 anni e mezzo Francesco Marcato, 54 di Padova (avvocato Tatiana Bianco); 8 mesi Irene Boraso, 24enne di Este (legali Cappellari e Franchini), infine un anno e 6 mesi con la condizionale Federico Chinchio, 29enne di Padova (avvocato Federico Bessega).
Saranno processati il 10 luglio Deniz Marte Akyl, 29enne di Padova (avvocato Massimo Malipiero) e Marco Compagnin, 35 anni di Padova (avvocato Marina Infantolino) e Alessandro Giaretta, 25 anni di Padova (avvocato Giuseppe Pavan). Questi ultimi due hanno raccontato agli investigatori di essere stati “espulsi” dal Centro sociale Pedro perché non è stata tollerata la loro condotta di spacciatori. Ovviamente tutta la rete di compravendita di marijuana e hashish in quantità industriali (ma anche biscotti all’hashish e funghi allucinogeni), arrivata dalla Lombardia e venduta in città, era gestita da Lovato, il vero e propro dominus incontrastato di quel business che nella città del Santo aveva il quartiere generale in una villa in via Mentana 7 a Città Giardino e nell’appartamento dove risiedeva in via Belzoni 66 al Portello.
Tesoretto ritrovato
Il 9 ottobre l’arresto: Lovato è trasferito nel carcere di Venezia. In quei giorni gli investigatori fanno luce sugli investimenti in criptovaluta analizzando il suo smartphone sequestrato. Si scopre che tramite l’app di messaggistica wickr Lovato (pseudonimo “lunadalmonte”) è inserito in una criptochat dove i clienti comunicano con il fornitore (Luca D., imprenditore friulano che ha introdotto per primo in Italia il bancomat per bitcoin). Sempre con quel cellulare, Lovato ha pure creato un archivio di tutti gli articoli pubblicati sulla stampa riguardanti i corrieri di droga arrestati, tra loro gente che lavora per lui. Il 27 ottobre primo colloquio in carcere con i genitori, tutto intercettato anche con telecamere all’insaputa dei protagonisti.
Lovato se la prende con l’avvocato Marco Cinetto perché – spiega – pur informato della password, non avrebbe bloccato il suo smartphopne per impedire il sequestro di 54 mila euro in bitcoin. Così racconta di aver cambiato legale: «Mi è stato indicato il principe del foro di Venezia». Sempre durante quel colloquio alza la testa indicando il soffitto e prega i genitori di correre subito nella escape room della sua casa di San Bonifacio (Verona): accanto alla finestra, sul soffitto in cartongesso, c’è una botola, basta aprirla e mettere al sicuro i soldi.
La Squadra mobile si attiva subito e nell’arco di due ore il tesoretto è sequestrato: 17.700 euro in contanti. Il 2 novembre nuova visita dei genitori che entrano nella sala colloqui a testa bassa. Il figlio capisce e chiede: «I gai ciapai? (Li hanno presi, riferendosi ai soldi)». E loro: «Sì». Il 5 novembre altro incontro: Lovato chiede di recuperare un documento nascosto dentro un mobiletto della villa in via Mentana. Ma la polizia arriva prima: è una carta d’identità smarrita da un veneziano al quale Lovato aveva sostituito la sua foto.
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