Tratta delle donne, 118 vittime «Costrette a prostituirsi in città»
Manifestazione ieri mattina davanti alla stazione organizzata dai volontari dell’associazione Mimosa Nigeriane e giovani dell’Est minacciate e spedite sulla strada. Lo sfruttamento è in crescita del 55%

MARIAN - AGENZIA BIANCHI - PADOVA - LANCIO PALLONCINI CONTRO TRATTA ESSERI UMANI
Il cielo si è tinto di arancione ieri mattina davanti alla stazione ferroviaria per dire no alla tratta degli esseri umani. Decine e decine di palloncini sono stati liberati in aria dai volontari dell’associazione Mimosa nell’undicesima giornata europea contro la tratta e occasione per la presentazione del progetto “N.a.Ve-Network Antitratta per il Veneto”. Un tema importante perché le vittime di questo fenomeno purtroppo sono sempre più in crescita. In Veneto dal primo settembre 2016 al 30 settembre scorso le vittime sono state 394, 118 solo a Padova, dove i volontari dell’associazione Mimosa sono riusciti a raggiungere ben 303 persone, prostitute, per la maggior parte nigeriane ma anche dell’Europa dell’Est.
Dati allarmanti considerando che nella nostra città nell’ultimo anno si è registrato un +55% di donne sfruttate rispetto all’anno scorso. Numeri drammatici che raccontano storie altrettanto tristi. Come quella di Faith (nome di fantasia), che appena maggiorenne è partita dalla Nigeria ed è arrivata a Padova con la promessa di un futuro migliore. Con la complicità della sua famiglia d’origine ha preso parte al rito a cui vengono sottoposte tutte le ragazze che intraprendono questa strada, anche minorenni. Davanti a uno sciamano ha bevuto un intruglio e siglato un patto, deve saldare il debito il prima possibile: pena ritorsioni gravi, fino alla morte, nei confronti dei suoi familiari. Il debito di cui si parla è quello verso chi la porta in Italia, la fa lavorare, sebbene come prostituta, e le fa guadagnare qualche soldo. Il debito è quasi sempre spropositato e si aggira sui 20-30 mila euro. E finché non è saldato Faith e le altre non possono certo stare serene. «Raggiungiamo queste ragazze per strada, le convinciamo a entrare nel nostro programma di protezione, cerchiamo di carpire la loro fiducia e far capire loro che una via d’uscita c’è» spiega Gaia Borgato, coordinatrice area contatto Equality/Mimosa. «Purtroppo sono ancora molto pochi i casi in cui riusciamo nel nostro intento. La paura che i protettori facciano del male ai loro familiari è tale che non vogliono rischiare». Qualcuna ha dovuto pagare con la morte dei propri genitori l’aver voluto uscire dal giro: «Purtroppo è successo anche questo» conferma Borgato. Molte nigeriane poi molte riescono a entrare in Italia come richiedenti asilo, usufruendo della protezione che lo status comporta. “Vivono in appartamenti dedicati ai profughi ma lavorano come prostitute e si interfacciano con una madama che le istruisce e le coordina”.
Storie diverse per le ragazze dell’Est: «È molto più difficile attirarle e convincerle a cambiare vita perché il più delle volte sono legate al loro protettore oltre che da un ricatto psicologico anche da un rapporto sentimentale» denuncia la coordinatrice.
Alice Ferretti
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