Tre ore per una delibera previa “autorizzazione”

Palazzo Moroni: giornalisti confinati in sala stampa, un tavolo accanto al bagno Uffici off-limits, ogni “uscita” deve essere approvata dal Gabinetto del sindaco
Di Elena Livieri

Crime scene. Do not pass”. Non c’è il nastro giallo dei telefilm americani che delimita l’area. Ma l’imperativo-divieto incombe più che mai. Il crimine è la curiosità, se così vogliamo chiamarla. La scena è palazzo Moroni, municipio della città di Padova. Area dapprima libera, poi interdetta e ora strettamente delimitata, per i giornalisti. Curiosi, ficcanaso, di parte. Non è nemmeno il caso di fare distinzioni. Meglio segregarli e chiudere l’argomento. Così la pensa il sindaco Massimo Bitonci. E i dipendenti comunali non possono che seguire le direttive.

«Consegnate i tesserini per la registrazione e recatevi in sala stampa, dove potete restare dalle 10.30 alle 13» scandisce con gentilezza l’agente della polizia locale che accoglie i giornalisti all’ingresso. Sala stampa: vi si accede dalla grande scalinata centrale, è al primo piano. Di fatto un’anticamera su cui si affaccia la porta di un ufficio (in tutta la mattina non è entrato o uscito nessuno) e la porta del bagno dei dipendenti, che con sorrisi imbarazzati ti passano davanti - chiave alla mano perché l’accesso alla toilette, pure quello, è controllato - e vanno a fare la pipì. C’è una finestrella su un angolo, aperta. A far girare l’aria ci prova un ventilatore. Sul tavolo dei giornalisti un computer, una stampante e un telefono. Nell’aria il profumo nauseante di un deodorante per ambienti, evidentemente messo lì per ovviare alla vicinanza del bagno.

L’impressione è che a rimanere lì la “curiosità” dei cronisti difficilmente possa trovare qualche soddisfazione. Le notizie, va da sè, girano per gli uffici. Stanno negli atti, tecnici e politici. Con il badge “visitatore” appuntato al petto, si va all’ufficio delibere. Atti pubblici, liberamente consultabili. Ai bei tempi di palazzo Moroni. Palazzo Bitonci complica le cose. Dopo cinque minuti nell’ufficio dove sono state richieste due delibere, arriva un “emissario” che, gentilmente, chiede di tornare in sala stampa. Lì non si può stare. E tanto vale obiettare che si è richiesto un documento pubblico. «Serve l’autorizzazione». E niente. Ti scortano nel “recinto”, dove nel frattempo l’assessore Vera Sodero tiene una conferenza stampa. Sono passati anche per gli assessori i bei tempi delle sale sfarzose dove dar lustro alle iniziative.

Il capo ufficio stampa, Carlo Melina, è costretto ad ammettere che non c’è comunicazione che possa uscire se non prima autorizzata dal Gabinetto del sindaco. Cioè da Andrea Recaldin, l’uomo ombra che tutto controlla e tiene le truppe allineate. È lui, non ne fa segreto nessuno a Palazzo, che tiene strette le maglie. “Per conto di”.

Alle 14.30 otteniamo copia degli atti richiesti alle 11.15. «La legge Madia vi consente di avere tutti gli atti in modo efficace» scandiva due giorni fa un assessore. Sarà questione di intendersi sui termini, allora.

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