Treviso si divide nella crociata contro Goldin

di Andrea Passerini
La giunta di centrosinistra di Treviso richiama Marco Goldin a organizzare una mostra a Treviso, undici anni dopo il “licenziamento” che il patron di Linea d’Ombra si vide recapitare dal presidente di Fondazione Cassamarca, Dino De Poli, all’apice del grande ciclo impressionista (1998-2004) dei record. Non si sa ancora quale sarà la mostra - dovrebbe aprire in ottobre - ma Goldin punterebbe a un evento assolutamente originale, ispirato proprio dal suo ritorno a Treviso.
Condizionale non casuale. Sul ritorno del suo Goldin Boy, la città è spaccata. Teatro di una lotta senza quartiere. Altro che il ritorno del figlio prodigo in un clima di sentimenti e gratitudine. La decisione della giunta di concedere il museo di Santa Caterina - Goldin non vuol tornare ai Carraresi, immobile di Fondazione - e di ristrutturare il museo per adattarlo alle esigenze di una grande mostra ha scatenato un ’48. Roba che nella moderata Treviso, dove nessuno “va a combatar” per atavico Dna, è battaglia mai vista, almeno in campo culturale.
Prima è sorto un comitato: Santa Caterina Bene Comune, riecheggiando volutamente la Treviso Bene comune, coalizione di Pd, Sel e civiche che ha vinto le elezioni. Contesta la concessione del museo, il trecentesco convento dei Serviti, con chiesa di Santa Caterina, affreschi di Tomaso da Modena, e la cappella degli Innocenti, un gioiellino. «Stravolgimento», «nessun rispetto per storia e arte», tuonano, «operazione folle anche tecnicamente». E la spesa del Comune (1,225 milioni, il doppio di quanto inizialmente annunciato dal sindaco, tutti prelevati dal fondo lavori pubblici) fa gridare allo «scandaloso spreco di risorse». L’investimento è coperto fin qui da 350 mila euro di art bonus erogati da privati, e dalla speranza di ottenere 720 mila euro di fondi regionali.
«No a Santa Caterina». Il comitato allinea operatori culturali, docenti, presidenti di associazioni culturali, da Italia Nostra all’Arci, artisti, critici, e cinque consiglieri di maggioranza, tre del Pd e due di Sel. Poi, i luminari dell’arte: Lionello Puppi, Nico Stringa, Eugenio Manzato ex direttore dei musei civici. E ancora intellettuali, architetti, esponenti di partiti e liste di maggioranza. Volantinaggi, roventi assemblee pubbliche, documenti, politica in fibrillazione, appelli alla partecipazione, al coinvolgimento, a progetti culturali .
E Goldin? Ha preso tempo, è fortemente tentato dal fare un passo indietro: «Il clima in città è diventato ostile», denuncia. Non bastassero gli attacchi negli incontri pubblici (lo hanno accusato anche di aver lavorato per la Lega: falso, il contratto era con Fondazione Cassamarca) viene affrontato anche al supermarket, dove gli è capitato di essere insultato da un cittadino, mentre faceva la spesa: «Mi rinfacciano a quale titolo mi permetta di deturpare il museo per le mie mostre. Io?». L’episodio lo ha veramente turbato.
Il sindaco Giovanni Manildo tira dritto: «La mostra si fa, poche storie, un’esigua minoranza non decide per tutti». Nel giro di 24 ore dalla riunione pubblica del comitato del no, la città favorevole al ritorno di Goldin, e che non fa del museo una questione prioritaria, si è schierata con lui. Senza se e senza ma. E via con i gruppi in facebook, perfino lo slogan «#jesuis goldin».
Industriali e Cgil: Goldin sì. Chi c’è, nel fronte pro Goldin? Unindustria e Cgil; sindaci dei comuni vicini e albergatori; artigiani e ristoratori; commercianti e Coldiretti. Se Segafredo (Massimo Zanetti, grande amico di Goldin) e Generali portano 750 mila euro, Camera di Commercio e categorie ne mettono 800 mila. Gli altri 2,4 milioni li mette Goldin.
Il fronte “Goldin sì, ma...” I detrattori lo premettono: non siamo contro Goldin, figurarsi. Propongono di spostare la mostra ai Carraresi o al museo Bailo (riaprirà a ottobre - al 50 per cento - con la più grande collezione di Arturo Martini). Ma intanto ecco gli attacchi alle mostre. Del resto, a Vicenza accademici e docenti hanno contestato l’accostamento di Tutankhamon e van Gogh, sul filo scuro della notte, e decine di professori hanno firmato un appello boicottando la mostra per le gite. Nico Stringa, docente di arte a Ca’ Foscari, curatore di mostre di ’800 e ’900, ha firmato l’appello. E non si nasconde: «Il problema non è Goldin, è quello che le amministrazioni vogliono fare», premette, «si scambia la cultura per Goldin, e non è così. Servono progetti a dieci anni, che valorizzino davvero le risorse del territorio, la crescita culturale dei cittadini. Goldin faccia le sue cose, le sue mostre sgangherate, dove ogni dieci opere ci sono due capolavori: lui punta sulla quantità, noi crediamo sia possibile arrivare alla quantità di turisti e di indotto con la qualità. Si vuol fare Goldin? Bene, ma si sentano anche altre campane, ci si ponga obiettivi a lungo termine. A Treviso basterebbe intercettare un minimo del flusso di turisti che va a Venezia, e avrebbe anche le risorse, senza stravolgere un bellissimo complesso del Trecento». Eugenio Manzato aveva ammonito: «Il museo è un bene della città, di tutti i trevigiani, va difeso, invece qui lo snaturano, lo spolpano, lo penalizzano: cosa resterà del percorso della pincoteca?»
Gli accademici sembrano bocciare senza attenuanti la formula di Goldin, i suoi viaggi diacronici fra notti e tramonti, campi e ritratti, nei capolavori. E poi l’aspetto imprenditoriale e il marketing: cultura e massa (e denaro) paiono inconciliabili. Ma sono i tre poli del modello Goldin, lanciato in patria a fine anni ’90, con tutte le sue ricadute turistiche ed economiche (ora non è più propheta: se può consolarsi, a Treviso succede a tanti). Discorsi antichi (vedi i bronzi di Riace) sul sottilissimo confine tra arte democratica e di massa. Sgarbi ha definito «cinepattoni» le mostre di Goldin, ma onorando sempre «la sua capacità organizzativa e manageriale».
Il sindaco Manildo vede nel curatore non il diavolo ma la “diavolina” per accendere il fuoco, ovvero i tesori d’arte di Treviso. Il suo collega vicentino Achille Variati, con la mostre goldiniane,ha trasformato la città del Palladio, e attende di celebrare il milionesimo visitatore della Basilica: «È arte democratica, accessibile a tutti, che emoziona anche chi non ne capisce». E mica solo gli incompetenti: Antonio Lopez Garcia, il più grande figurativo vivente, dopo aver visionato l’allestimento di Goldin in Basilica, lo ha omaggiato della sue opere, ed è nata a Vicenza la prima vera personale in Italia del genio spagnolo. Il cui catalogo, curato da Goldin, diventerà la monografia ufficiale italiana dell’artista.
E le Soprintendenze? Il cantiere non è ancora iniziato. Manildo parla a comitato e detrattori di «progetto migliorativo», ma è solo una bozza che deve avere, forse domani, l’ok della Soprintendenze. Quello approvato dalla giunta il 19 dicembre, infatti, non li ha avuti.
Cultura e crociate, arte e schei, partiti e comitati, mostre e accademici, politica e sponsor. Non manca nulla. A Treviso gli stessi cultori della vecchia città cenacolo di artisti e gaudente, dello spirito trevigiano frizzante come il Prosecco, non si capacitano di tanto livore, e non riconoscono più la città di Signore & Signori. In fin dei conti, è la (semplice) storia di una mostra.
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