Tutta la vita dipinta nella seta e nei colori di cento kimono

di Marina Grasso
Tradotto letteralmente significa “cosa da indossare”. Tradotto materialmente è il simbolo di una cultura, un linguaggio non verbale. Perché il termine “kimono” non designa solo un abito, bensì l’essenza e la natura del Giappone che non si esaurisce nella preziosità intrinseca del manufatto, ma esalta le scelte e l’identità di chi lo indossa. Il kimono è un vero e proprio mondo, che ha letteralmente sedotto la trevigiana Lydia Manavello, storico d’arte per formazione, insegnante per vocazione e collezionista di kimono per dedizione. Nella sua vita intensamente dedicata all’arte, con una particolare predilezione per le arti applicate, una decina d’anni fa irruppero i kimono.
«Mio marito, ben conoscendo la mia predilezione per l’arte e la cultura giapponese, me ne regalò uno. E da allora non ho più smesso di volerne altri» dice scherzando sulla sua copiosa collezione. In realtà, spiega, «Questa passione arriva da lontano: il periodo tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento ha sempre esercitato su di me un grande fascino. Lo studio approfondito degli anni che vanno dall’Impressionismo e arrivano, attraverso il Liberty, all’Art Decò, mi ha portata ad amare l’arte giapponese, consapevole del grande apporto che essa ha dato all’arte europea del tempo. A questo si è aggiunto un forte interesse per le arti applicate, tra le quali il tessuto e la sua storia. Da qui la strada è stata breve: ammaliata dalla squisitezza della loro fattura, me ne sono innamorata all’istante e da allora ho iniziato a collezionarli».
Avere il privilegio di ammirare la collezione di Lydia, oggi costituita da oltre un centinaio di kimono ma anche di oggetti di uso quotidiano (dai giochi tradizionali giapponesi agli spilloni per adornare i capelli, passando per gli oggetti della cerimonia del te a calzari e calzini), è un vero viaggio in una cultura lontana e raffinatissima. Per di più supportata dalle spiegazioni appassionate e colte della sua proprietaria: «Ogni kimono è una creatura viva che ci racconta molto del tempo in cui è “vissuto” e dell’età, della condizione, del gusto di chi l’ha indossato. Sono gli stessi kimono a condurci alla scoperta dei loro segreti, tra antiche stanze e silenziosi laboratori d’arte, dove ogni più piccolo particolare è meticolosamente curato. Ciascuno di essi nasconde un vero e proprio tesoro di bellezza».
Ogni tipo di kimono, di seta più o meno pregiata o di cotone, con i suoi colori e i suoi simboli, rappresenta un linguaggio dotato di un lessico proprio: Lydia ne fa notare i dettagli che rivelano il periodo storico, il livello di formalità e l’occasione per cui è stato realizzato, così come l'età, lo stato civile e il rango della proprietaria o del proprietario.
«Non c’è dettaglio, in questi abiti, che non ne riveli molti altri» spiega «dall’inaudita morbidezza di alcune sete alle decorazioni minuziosamente dipinte a mano». Fa notare, ad esempio, come molti tessuti e dipinti raffinati si trovino nelle fodere interne, talvolta più preziose della parte esterna, proprio come il lato personale più intimo e privato, da svelare solo a chi si sceglie. Indice di un legame profondo, quasi spirituale, con l’abito; un percorso di conoscenza che segue quello delle dinamiche dei rapporti personali.
Un compendio di cultura da indossare, insomma. O solamente da ammirare, come hanno potuto fare fino a oggi coloro che hanno partecipato a mostre o a eventi che Lydia stessa inventa per condividere la bellezza dei suoi capi.
Sognando, da grande appassionata ma anche da esperta didatta, di poter allargare questa platea: «La bellezza ha un valore educativo e morale fortissimo. Vorrei poter condividere le meraviglie che ho raccolto in anni di precisi e mirati acquisti da collezionisti e gallerie d’arte giapponesi, perché penso che queste straordinarie testimonianze d’arte e cultura abbiano molto da dire e da dare, a chi può osservarle da vicino».
Infatti, da scientifica cultrice d’arte, Lydia acquista kimono e oggetti d’uso quotidiano di un preciso periodo storico - tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento - esplorando ambiti specifici, come se stesse già realizzando una mostra attraverso percorsi delineati.
«Un po’ per formazione è un po’ per carattere, ho scelto ogni pezzo secondo precisi criteri. Ho approfondito, così, eventi storici, ritualità, abitudini e consuetudini ben specifiche. Con una grande predilezione per i decori ispirati agli elementi della natura che, oltre a motivazioni di carattere estetico, sono anche legati a contesti tanto interessanti quanto non immediatamente identificabili».
La mostra che Lydia sogna di realizzare, sapientemente costruita in anni di ricerche, è già tutta nella sua testa e nei suoi armadi personali. Ed è di una bellezza così intensa e così colta, che sarebbe davvero triste restasse solo lì.
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