Tutti liberi i rapinatori di Carturan

La condanna dei tre banditi slavi annullata in Cassazione. Rinviato alla Corte d'Appello di Venezia il processo per il tragico assalto alla villa del commerciante di Monselice, che aveva ucciso un rapinatore sparandogli. Decisivo il ruolo della moglie di quest'ultimo: è irreperibile
Villa Carturan
Villa Carturan
MONSELICE
. Annullata dalla prima sezione penale della Cassazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Venezia per un nuovo giudizio, la sentenza di condanna di secondo grado emessa il 2 dicembre 2008 nei confronti di tre imputati implicati nel sanguinoso assalto alla villa di Giuseppe Walter Carturan, noto commerciante d’abbigliamento di Monselice. Tentato raid avvenuto la sera del 12 marzo 2000. In quel momento Carturan, che si trovava con la moglie Mirella Bianchi, venne raggiunto da un colpo d’arma da fuoco, mentre la sua compagna fu trascinata e percossa. In quelle concitate fasi, il commerciante corse a prendere il fucile da caccia sparando alcuni colpi. Uno dei rapinatori (Teki Dragutinovic) venne ucciso ed un altro ferito.


VERITÀ LONTANA
. Per questo fatto furono arrestati e condannati in primo grado tre nomadi di etnia slava, accusati di tentata violazione di domicilio, tentata rapina, violenza privata, tentato omicidio ai danni di Carturan e lesioni aggravate alla consorte, ricettazione delle pistole usate nell’occasione e porto illegale delle stesse. Adesso tutti e tre, scaduti i termini di carcerazione preventiva, sono tornati liberi in attesa che si esauriscano i tre gradi di giudizio e che la sentenza diventi definitiva. Dopo il pronunciamento della Cassazione, dovranno aspettare chissà quanto ancora. Si ritorna indietro. Ma soprattutto il loro destino giudiziario continua a essere nelle mani di una teste d’accusa che compare e scompare come una meteora.


TRE CONDANNE
. Il tribunale di Padova emise 14 anni di reclusione per il kossovaro Zika Marinkovic di Pristina. Stessa pena per Franco Stojanovic, di Novi Sad (Vojvodina, Serbia). Al terzo imputato, Dico Zormador di Zagabria (Croazia), vennero invece inflitti 12 anni e 6 mesi di reclusione. Furono determinanti (e per quanto concerne Zika Marinkovic, unico elemento di prova) le dichiarazioni rese nel 2002 all’allora pm Paola Cameran da Olga Dragutinovic, moglie del bandito colpito a morte per legittima difesa da Carturan, e a quel tempo detenuta nel carcere di Torino per una serie di furti. Fu lei a riferire sui preparativi della rapina, a rivelare chi vi aveva materialmente partecipato e che fu Zika Marincovic a fornire l’arma a suo marito. E raccontò d’essersi sempre opposta a quell’assalto. Al processo Olga si costituì parte civile per l’omicidio colposo del marito avvenuto durante la rapina in casa Carturan. E non perché uno dei complici gli sparò addosso ma poiché morì proprio a causa di quell’intrusione armata.


TESTE IRREPERIBILE
. E qui entriamo in cronaca giudiziaria diretta. Processo n tribunale del 27 marzo 2007: Olga si rende irreperibile, essendo evasa dal carcere torinese utilizzando un permesso-premio. A quel punto il penalista e docente universitario Emanuele Fragasso, difensore di Zika Marinvovic, chiede al collegio giudicante se possono o meno venir lette le dichiarazioni rese a suo tempo dalla donna. Gli altri difensori si associano. Il tribunale dice di sì, risultando Olga introvabile. Morale della favola: soprattutto grazie alle sue accuse, fioccano le condanne.


OLGA DIVENTA NUCKA
. Ma al processo d’appello i difensori degli imputati rinnovano le richieste, invitando la pubblica accusa a fare le dovute ricerche per appurare se la teste-chiave è viva e reperibile, con eventuale accompagnamento coattivo in aula. La difesa fa addirittura di più: produce il verbale di dibattimento del tribunale dei minori di Venezia, dove si attesta che Olga è stata sentita come imputata di reato commesso, avvalendosi della facoltà di non rispondere. Fatto accaduto poco dopo il processo di primo grado. Logica deduzione: si poteva rintracciare. Non basta. Il sostituto procuratore generale Giuseppe Rosin produce un estratto del Dap (sistema informatico centralizzato del casellario giudiziario) dove risulta che Olga Dragutinovic, usando le generalità di Nucka Djordjevic, era stata «sentita in un altro procedimento separatamente celebrato per i medesimi fatti». La Corte d’Appello si riserva di decidere. In realtà non decide più, rigettando implicitamente le richieste difensive. Vengono pertanto confermate (salvo una piccola riduzione per Zormador, condannato a 11 anni, 11 mesi e 15 giorni) le pene di primo grado.


I MOTIVI DEL RICORSO
. A quel punto le difese presentano ricorso per Cassazione. Il penalista Fragasso eccepisce la nullità della sentenza d’appello perché «contraria al giusto processo e in particolare al diritto alla ammissione delle prove in contradditorio, dal momento che l’esame di Olga Dragutinovi era concretamente possibile». E la Suprema Corte accoglie il motivo, stabilendo che «il diritto al contradditorio non si esaurisce con il giudizio di primo grado ma va garantito anche in appello quando vi è una specifica richiesta della difesa e purché la prova risulti in concreto assumibile». Viene pure utilizzata la documentazione del Dap prodotta dal procuratore generale Giuseppe Rosin.


TUTTO DA RIFARE
. Queste le clamorose conclusioni della Cassazione: «La Corte d’Appello ha erroneamente negato agli imputati il diritto alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale al fine di ricercare ed interrogare, in contradditorio, la testimone cardine dell’accusa». Si ritorna a Venezia, al giudice di secondo grado. Si ricomincia da dove si era partiti. Le lancette dell’orologio giudiziario vengono riportate a dicembre 2008.

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