Un contratto di schiavitù «Mi ha sottomessa a lui»

La coppia si è separata e la donna ha denunciato l’ex per maltrattamenti Ora il giudice dovrà valutare il valore di quell’atto sottoscritto da entrambi
Di Carlo Bellotto

Denuncia l'ex marito per maltrattamenti in famiglia e per dimostrare com'erano i loro rapporti allega alla denuncia il "contratto di schiavitù" che lui e lei avevano firmato nel marzo 2004. Un documento «consensuale e a tempo indeterminato» nel quale il marito, all'epoca compagno, è il padrone e lei la schiava.

Due fogli dattiloscritti firmati da entrambi che fanno strabuzzare gli occhi.

Lei fa la commessa e ha 31 anni, lui, gestore di locali, di anni ne ha 41. Si frequentano dal 2003 e si sposano nel 2006. Si lasciano nel 2011 e lui continua a cercarla, per questo lo denuncia anche per stalking. Lui ha un precedente del 2001 per violenza sessuale: aveva imbavagliato e incatenato ad un tavolo la sua “lei” di allora. Ora l’inchiesta è sul tavolo del sostituto procuratore Sergio Dini. Inutile dire che l’indagine è condizionata dal contratto che lei ha sottoscritto: la singola percossa potrebbe essere contemplata, ma i presunti maltrattamenti, se continuati, esulano o no dal «contratto di schiavitù» che al punto d) recita: «non ha nessuna validità legale, ma è solo uno strumento per regolare esigenze e responsabilità del rapporto padrone-schiava»?

Il contratto. «Io (c’è il nome della ragazza) in seguito nominata schiava, dichiaro di mia spontanea volontà, di acconsentire ad offrire corpo, mente e tutta me stessa, in schiavitù consensuale a (c’è il nome di lui), in seguito nominato padrone». Articolo 1: «La schiava accetta di obbedire al meglio delle sue possibilità, di concedere se stessa a soddisfare ed esaudire i desideri del suo padrone. La schiava rinuncia al suo diritto di godimento, piacere, eccetto quello concesso dal proprio padrone». Articolo 2: «Il padrone è responsabile della schiava, questo include la sopravvivenza la salute e il benessere psico-fisico. La schiava accetta di informare il padrone su problemi o pericoli in fatto di sicurezza». Articolo 3: «La schiava accetta di mettere a disposizione del padrone il proprio corpo, per essere usato a suo piacimento. Accetta di abbigliarsi, acconciarsi e comportarsi come il padrone pretende». Se durante qualche «gioco» la schiava è in pericolo, la parola «salvavita» è Mario, altrimenti bastano tre colpi con la mano e il padrone «interrompe l’attività, senza punire la schiava». Proseguendo nella lettura dell’atto si legge che «il padrone fornisce gli attrezzi necessari nell’esercitare il dominio, la schiava è responsabile della pulizia e manutenzione degli stessi».

«La schiava accetta di rivolgersi al padrone con il termine di padrone o signore o master e sempre rispettosamente anche fuori dalla sessione vera e propria. Il padrone le fornisce un oggetto che segni simbolicamente l’appartenenza della schiava a se stesso. La schiava accetta di ricevere le punizioni appropriate per ogni infrazioni al presente contratto e si impegna ad accettarle con umiltà, imparando la lezione. Il padrone accetta di non punirla mai quando si trova in stato di tensione o ira».

Si passa poi ai punti dettati dalla schiava: «Il rapporto dev’essere di natura esclusiva, escludendo lo scambio. Sono vietate le pratiche di coprofilia, zoofilia, controllo della respirazione/asfissia, marchiatura a fuoco, attività con armi e in genere che possano produrre danni fisici permanenti». Tutto sconcertante, tutto scritto.

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