Un tragico falò “benedetto” da don Giussani

Il 6 gennaio 1998, mentre è a pranzo con una famiglia di amici in un ristorante a Chiaravalle, Giussani viene raggiunto da una telefonata. La sera precedente, durante il tradizionale falò della Befana presso il Centro Sacchetti di Padova, la catasta di legna predisposta per divertire i bambini di un gruppo di famiglie del movimento e dei loro amici si è trasformata in una bomba. Per l’esplosione è morto Massimo Paulon, cuoco di trentadue anni, e pochi giorni dopo morirà anche Giulia Vianello, di sette. I feriti sono una settantina, alcuni in gravi condizioni, tra di essi ci sono Igino (noto anche come “Gino”) Gatti, don Lucio Guizzo, Daniele Raffaelli e Guido Ferrari.
Mentre è ancora seduto a tavola, Giussani detta un messaggio indirizzato a tutte le Fraternità d’Italia: «Nella Fraternità di Padova il Signore dice qualche cosa a tutti noi». E come prima reazione alla tragica notizia che ha percosso gli amici di Padova, «misteriosa come è misteriosa la morte di Gesù», raccomanda innanzitutto di domandare che «attraverso la mediazione della Madonna il Signore aiuti i nostri amici veneti». Di fronte allo sgomento per l’accaduto, invita a riconoscere lo scopo misterioso di questa tragedia: «Senza che possiamo capire la modalità con cui Dio sugli uomini agisce, un richiamo alla conversione nostra, perché ognuno di noi dia il suo apporto nella sua storia alla gloria di Cristo, crocifisso e risorto. Viviamo perciò tutti insieme il dolore di questo momento».
Quindi domanda a due degli amici che gli siedono accanto di interrompere il pranzo, invitandoli a recarsi a Padova per consegnare a mano quelle parole sgorgate di getto. Graziano Debellini, responsabile del movimento nel Triveneto, le riceve «come semplice sollievo e vicinanza di un padre», ma subito dopo, «sempre più consapevolmente, come giudizio che investiva tutto quanto stava succedendo in modo così vorticoso e doloroso». Quelle parole sono per lui e per tutti gli amici padovani «un faro e un punto di svolta».
Il 7 gennaio Debellini chiama Giussani per l’ennesima volta: «Gli dico che per Gino non c’è più niente da fare. Ero distrutto, E lui: “Non preoccupatevi per Gino. Lui torna a casa. È un’altra cosa che il Signore vuole da voi in questo momento: il cambiamento del vostro cuore».
A distanza di anni, Debellini ricorda che quel fatto così doloroso era accaduto in un momento in cui le cose andavano bene, ma «il cuore si era un po’ sclerotizzato, ti senti possessore, magari anche involontariamente, delle cose. Il Signore non ha permesso che questo andasse avanti. Ha infranto le nostre cattedrali vuote ridandoci un cuore e una semplicità di fede nuove. Come disse Giussani riferendosi a quanto era accaduto: “Il Signore entra nella sua vigna come un tornado in Florida” ».
Quella circostanza dolorosa diventa l’occasione per rinsaldare l’amicizia con Enzo Piccinini, chirurgo dell’Università di Bologna e tra i responsabili nazionali del movimento, che da un anno frequenta le comunità del Triveneto su richiesta di Giussani. Avvisato dell’accaduto, Piccinini si reca immediatamente a Padova: «Aiutali come puoi», gli dice al telefono Giussani.
Da chirurgo quale è, aiutai colleghi dell’ospedale veneto a riconoscere la natura dei traumi e a predisporre gli interventi necessari.
E proprio l’inizio dell’amicizia imprevista con Piccinini è ricordata da Debellini come un esempio del modo di muoversi di Giussani nei rapporti con le persone: «Enzo arrivò da noi in un momento in cui il nostro rapporto era segnato da diversità e da pregiudizi. Don Giussani mi convocò e mi disse: “Accogli Enzo come accogli me, accettalo come amico così come sei amico con me”. Risposi: “Non è possibile”. Ma don Giussani replicò: “Siccome Enzo è uno che tutto intero è in unità con il mio cuore io ti chiedo di diventare amico con lui”».
Debellini resiste per un po’, poi obbedisce: «È fiorita con Enzo un’amicizia straordinaria, così intensa come non avrei mai potuto immaginare. Noi di solito pensiamo che gli amici veri siano quelli che uno si sceglie, mentre gli amici veri sono quelli che ci vengono donati dal Signore per camminare verso di Lui. Così ho compreso quanto siano vere le parole di don Giussani, secondo cui amicizia e obbedienza fanno parte della stessa partita umana, sono la stessa cosa. Non c’è amicizia senza obbedienza».
Ai funerali di Massimo e Giulia, celebrati il 10 gennaio 1998 nella basilica del Santo, a Padova, don Giacomo Tantardini - da anni legato agli amici padovani - rilegge le parole di Giussani sul mistero di ciò che è accaduto come la prima risposta alla domanda su come sia possibile che una bambina di sette anni e un uomo così giovane muoiano in quel modo. All’omelia. dice, infatti: «Di fronte a un dolore cosi non basta una spiegazione anche religiosa, non basta dire che c’è Dio. Questo dolore è misterioso come è misteriosa la morte di Gesù. Don Giussani parla della gloria di Cristo nella nostra storia . Il che vuoi dire che della Sua resurrezione si comincia già qui, già adesso, a fare esperienza». E per questo si può dire: «“Sia che viviamo, sia che moriamo” noi siamo dentro questo abbraccio».
(...) Il 9 agosto 1998, mentre è a La Thuile, Giussani partecipa a un momento di festa per Maria - la primogenita di Debeilini (il quale gestisce la struttura che ospita i raduni estivi del movimento in Valle d’Aosta) -, che compie gli anni, Un canto napoletano, eseguito in onore della festeggiata, dice: «Passa il tempo ed il mondo cambia, ma l’amore vero non cambia strada...». Giussani prende spunto da queste parole per formulare il suo augurio, pronunciato davanti ai genitori di Maria e all’amica di lei, Rachele (figlia di Gatti): «L’amare tra l’uomo e la donna è l’amore naturale come Dio l’ha fatto, ma non resta tale se non incontra Cristo, e con fatica, seguendolo, impara cos’è. Allora, imparando cos’è, capisce che non sapeva cosa fosse», Per Giussani, infatti, «un valore diventa vero quando esige l’eternità, perciò una delle cose più gustose ed encomiabili della vita e incontrare un rapporto che permane. Perché il permanere ha come ultimo scopo l’infinito, l’Eterno, Maria è all’origine di questa ospitalità e amicizia. E in Maria è rimasto impresso il rapporto che aveva avuto con me da piccolissima: l’ho battezzata io». Quindi fa entrare il ricordo della vicenda padovana, sottolineando che in Maria «l’inevitabile amicizia con Rachele», sua coetanea, «ha tradotto ciò che suo papà è stato sempre con Gino». Rivolgendosi, poi, ai Debellini, augura loro di fare la sua stessa esperienza: «Che conosciate attraverso qualsiasi sacrificio - perché senza strappo non vale niente -. Che il Signore vi aiuti - perché io sono arrivato alla fine e quindi sono equilibrato - perché diventi una esperienza normale della vita il sacrificio in cui si incarnano i valori inevitabilmente».
Questi sono i sentimenti che gli ha dettato il pensiero del compleanno della ragazza, e per questo le è riconoscente: «Grazie Maria per l’occasione che ci dai e grazie anche a Rachele - tu mi devi salutare tuo papà! -. Suo papà, il miracolo più grande, significativo ed educativo della mia storia! Perché quello è un miracolo!». Gatti, infatti, è sopravvissuto allo scoppio che gli ha procurato ferite gravissime.
(Tratto dal libro «Vita di don Giussani» pubblicato da Rizzoli)
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