Una perizia per definire la responsabilità del medico

Udienza preliminare a carico dello psichiatra che dimise Pietro Zaramella Tornato a casa dall’ospedale, dopo pochi giorni uccise la moglie e si suicidò
Di Cristina Genesin
Montagnana, 04 Feb 14.Omicidio - suicidio di Pietro Zaramella e Rossetto Edda, a Montagnana in Via Brancagli 39. Nella foto: l'abitazione.ph. Zangirolami
Montagnana, 04 Feb 14.Omicidio - suicidio di Pietro Zaramella e Rossetto Edda, a Montagnana in Via Brancagli 39. Nella foto: l'abitazione.ph. Zangirolami

MONTAGNANA. Difficile assumersi la responsabilità di spedire a processo uno psichiatra perché un suo paziente ha prima ucciso l’anziana moglie (peraltro in uno stato di salute grave e precario tanto da dipendere completamente dagli altri) e poi si è suicidato, contestando il reato di omicidio colposo, cioè un comportamento negligente, che potrebbe spianare la strada ad analoghe accuse nei confronti di qualunque altro medico in una situazione simile. Saggio e prudente, prima, chiarirsi le idee. Ed è ciò che ha fatto ieri mattina il gup di Rovigo, Pietro Mondaini, chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di rinviare a giudizio il dirigente medico dell'Unità operativa semplice di Psichiatria dell'ospedale "Madre Teresa di Calcutta" di Schiavonia, il dottor Gianni Ivo Tamiello, 57 anni, difeso dal professor Alberto Berardi dell’Università di Padova.

Il pubblico ministero rodigino Fabrizio Suriano lo aveva ritenuto responsabile della tragedia avvenuta in una casetta di Montagnana, in via Brancaglia 39, dove Pietro Zaramella, 81 anni, aveva ucciso a coltellate la compagna, poi s'era ammazzato impiccandosi.

Il gup ha deciso una perizia in base all’articolo 422 del codice di procedura penale. Secondo quella norma «il giudice puó disporre, anche d'ufficio, l'assunzione delle prove delle quali appare evidente la decisività ai fini della sentenza di non luogo a procedere». All’orizzonte c’è la possibilità di prosciogliere l’imputato (nel senso potrebbero non esserci elementi per spedirlo a processo). E quale “nodo” il giudice deve chiarire prima? C’è da stabilire se ci sia un rapporto di causa-effetto tra la condotta dello specialista e l’accaduto (omicidio e suicidio). Per farlo, è necessario il parere di un esperto: nella prossima udienza, fissata per il 30 maggio, l’incarico sarà affidato alla dottoressa Giuseppina Meloni, responsabile del Servizio psichiatrico diagnosi e cura dell’ospedale di Trecenta (Rovigo). A lei spetterà spiegare se esistono protocolli o prassi consolidate alle quali l’imputato avrebbe dovuto adeguarsi. In aula il pm d’udienza, Sabrina Duò, si è dichiarata d’accordo. E l’accordo non poteva mancare dal difensore, il penalista Berardi che aveva già presentato un’istanza al giudice per sollecitare proprio quell’accertamento tecnico, poi deciso dal magistrato in piena autonomia. Il 4 febbraio 2014 la tragedia. Pietro Zaramella era stato dimesso alcuni giorni dall’ospedale di Schiavonia, dopo un ricovero di tre settimane a causa di un profondo stato d’ansia. A casa, di fronte alla la moglie ottantenne Edda Rossetto – colpita da un'ischemia cerebrale e poi da un tumore, un’esistenza ora attaccata a un respiratore – i cattivi pensieri gli erano tornati in mente. Lui non era più in grado di seguirla e, per lei e per se stesso, aveva deciso di morire.

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