Ventiduenne ucciso da un'overdose, nella casa c'era un terzo uomo

CITTADELLA. «Non hanno dato subito l’allarme e hanno fatto arrivare i soccorsi solo dopo tre ore dal malore».
Parole di rabbia e disperazione, ma che pesano, quelle di Andrea Bertollo, il fratello di Federico. Perché nulla potrà restituire la vita, i talenti, l’energia del giovane di 22 anni di Cittadella stroncato da una overdose di eroina lunedì sera. Ma, almeno, sia fatta chiarezza: questo è quello che attende la famiglia. Chiarezza alla quale potrà contribuire l’autopsia, fissata per oggi. Subito dopo l’autorità giudiziaria darà il via libera alla sepoltura: con ogni probabilità il funerale sarà celebrato nella chiesa di Pozzetto sabato mattina; domani sera, invece, la recita del rosario.

Il dramma si è consumato nell’appartamento di Ivano Sogliacchi, 49 anni, al civico 120 di via San Pietro, in Borgo Treviso. All’ombra delle mura l’arrestato è conosciuto: qualche precedente, una storia di emarginazione, di espedienti: «Gente che recupera dosi di droga pesante e poi la rivende, è dagli anni ’80 che se ne sente parlare, e tanti giovani ci sono cascati», il commento amaro, indignato e preoccupato di più di un cittadellese.

Sogliacchi si trova in carcere a Padova, gli vengono contestati i reati di «morte o lesioni come conseguenza di altro reato» e di detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio. Restano le domande: come è entrato in contatto con lui il giovane? Per chi era la cocaina trovata nella stanza? Quella di lunedì era la sua prima dose di eroina?
«Federico», spiega il fratello maggiore, «temeva gli aghi. È vero, in passato aveva avuto problemi di droga, ma ne era uscito, faceva le analisi, era pulito. Lavorava in una cooperativa da un mese e mezzo, con il suo impegno si stava conquistando la stima dei dirigenti».
Cos’è successo lunedì sera? «Forse c’era una terza persona con loro, in queste ore si sta tentando di capire che ruolo avesse. Io resto a quello che mi ha detto un medico: dal momento in cui Federico si è sentito male potrebbero essere passate tre ore».
Un’enormità. «Se fossero arrivati in tempo i soccorritori lo avrebbero salvato e lui sarebbe ancora vivo». La morte di un ventenne in una città di provincia, ricca, semina interrogativi. Si cercano spiegazioni, si torna a quel maledetto incidente. Federico zoppicava «e purtroppo veniva anche preso in giro per questo, e ne soffriva», ricorda il fratello Andrea.
Era la sua fragilità, che però aveva trovato in parte una catarsi nell’arte, come racconta la Cittadella Musical: «Sei arrivato nella nostra Compagnia in punta di piedi, timidamente, quasi scusandoti di non poter essere disinvolto nei movimenti come tutti gli altri. Ti abbiamo accolto e stimato da subito: sempre presente, sempre pronto a lavorare, spesso sostituendo gli assenti in prova per aiutare i tuoi compagni di avventure. Eri uno di noi, con le tue luci e le tue ombre. Eppure», spiegano gli amici, «non eri felice: quell’incidente di quasi 10 anni fa, al quale eri miracolosamente sopravvissuto, ti aveva tolto la spensieratezza della tua età. Eri arrabbiato con la vita e il Mostro era in agguato, pronto a sferrare il suo attacco se solo avessi fatto un passo falso».
Un demone, un tarlo: «Il Mostro alla fine ti ha colpito, proprio quando eri più fragile. Hai lottato per liberartene, ma non è servito a nulla. Non ci può essere applauso, teatro o sold out che possa compensarlo: abbiamo perso uno di noi. Buon viaggio, ovunque tu sia». A stringersi attorno alla famiglia è anche la società calcistica di San Giorgio in Bosco, vicina a Carlo Zecchin, allenatore dei portieri della società e zio di Federico. «In tutti noi», il commento dell’Asd sangiorgense, «resta il ricordo di un ragazzo duramente provato dalla vita, ma con il cuore e lo spirito di chi sa farsi voler bene».
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