Veronica Franco Quando le cortigiane non erano escort

Una biografia firmata da Valeria Palumbo mette in risalto i meriti poetici e ideali dell’amante più famosa del ’500
Di Nicolò Menniti-ippolito

di Nicolò Menniti-Ippolito

Provate a consultare google. Se inserite il nome di Veronica Franco, viene fuori un buon numero di link ad escort, per lo più inglesi e americane, che hanno scelto come nome di battaglia quello della celebre cortigiana veneziana. Eppure Veronica Franco per ben altro dovrebbe essere ricordata, come racconta Valeria Palumbo, giornalista e storica delle donne, che ha appena mandato in libreria “Veronica Franco. La cortigiana poetessa” (EdizioniaNordest, p. 230, 20 euro). Valeria Palumbo sarà questo pomeriggio alle 18 a Padova, al Circolo ufficiali di Prato della Valle, per presentare il suo libro e parlare di un personaggio che la storiografia italiana ha a lungo ignorato. «Se scrivo di donne» dice Valeria Palumbo «è per ridare voce a quei personaggi femminili che la storia maschile ha distorto o addirittura cancellato. Certamente Veronica Franco è stata una cortigiana, ma ricordarla unicamente per questo equivarrebbe a parlare di Caravaggio solo come assassino e non come pittore». Perché la storia di Veronica Franco è sfaccettata come hanno ben colto più nel mondo anglosassone che in Italia. «È vero» dice Valeria Palumbo «che gli studiosi anglosassoni hanno studiato prima di noi personaggi come Veronica Franco, ma il vero artefice della riscoperta è stato Benedetto Croce che ne ha segnalato il grande valore poetico». Eppure non è solo questo che conta. Veronica Franco è importante anche per altri motivi. «È stata la prima» dice ancora l’autrice «a rivendicare il diritto al piacere anche per le donne, per le cortigiane che dovevano essere trattate con riguardo dai loro clienti». Anche perché le cortigiane non erano dedite solo al sesso. «Gli uomini» dice Valeria Palumbo «andavano dalle cortigiane anche per la conversazione, per la loro cultura, non dimentichiamo che Veronica Franco era una letterata, una donna che ha scritto chiaramente che la sua unica vera passione era lo studio, il discutere con gli uomini della Accademia». Cortigiana honesta, secondo la definizione diventata famosa, ma anche appassionata, attenta a chi gli stava intorno. «Veronica Franco» dice la biografa «era capofamiglia, manteneva una quarantina di persone, tra cui i figli dei fratelli. E poi, come sappiamo dalle lettere, aiutava le donne che altrimenti sarebbero state costrette a prostituirsi ed addirittura propose di creare una istituzione pubblica per salvaguardare le donne costrette a prostituirsi». Che erano molte, moltissime. «In città come Venezia o Roma, le prostitute erano il 10% della popolazione» dice ancora Valeria Palumbo «quindi un numero enorme. Si prostituivano le donne povere, ma non solo quelle. Prostituirsi era il mezzo per entrare in rapporto con quel mondo colto e aristocratico da cui poteva imparare ciò che come donna nessuno, in altre condizioni, avrebbe voluto insegnarle. Non solo, come cortigiana poteva frequentare salotti, partecipare a discussioni da cui – bisogna ricordarlo- le mogli erano rigorosamente escluse».

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