Vetri d'oltre oceano

Ma venezianissimi: sono di Lino Tagliapietra
Due pezzi di Lino Tagliapietra
Due pezzi di Lino Tagliapietra
Èun omaggio a uno dei grandi maestri in assoluto del vetro contemporaneo, il maggiore erede della grande tradizione muranese dove si è formato ed è cresciuto, la mostra che l'Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti dedica da oggi - e fino al 22 maggio - a Palazzo Franchetti a Lino Tagliapietra.  La prima retrospettiva ufficiale - Da Murano allo studio Glass opere 1954-2011 ne è il titolo, curata da Rosa Barovier Mentasti e Sandro Pezzoli - che la città dedica, con colpevole ritardo ma a tutto merito dell'Istituto Veneto, a questo grande maestro oggi ottantacinquenne e ancora instancabile, che ha ormai spostato oltreoceano, negli Stati Uniti, il fulcro dell'attività, dove ha ottenuto il riconoscimento internazionale che Venezia, spesso matrigna, ha tardato a tributargli.  Una mostra magnifica, quella di Palazzo Franchetti, incentrata in particolare su una selezione di pezzi unici dell'ultimo decennio di Tagliapietra e aperta da un'installazione straordinaria come Avventura, sorta di wunderkammer di balsamari dorati in vetro avventurina in cui l'artista ricrea la sua personale interpretazione dei reperti vitrei romani di scavo di Altino, che lo hanno fortemente ispirato.  Ma c'è in Lino Tagliapietra accanto alla capacità di coniugare con impareggiabile raffinatezza le infinite possibilità espressive e cromatiche del vetro soffiato, anche l'alito di una libertà creativa che si è sviluppata anche attraverso l'impatto che ha avuto sul suo linguaggio l'esperiemza con quel movimento artistico internazionale - sviluppato soprattutto negli Stati Uniti noto come Studio Glass - che affranca il vetro da ogni esigenza funzionale, per affidarlo ai territori della libera ricerca artistica e formale, senza vincoli di alcun tipo. Una libertà creativa che Tagliapietra ha pienamente acquistato solo dal 1993, quando - diviso tra Murano e Seattle - ha iniziato a fare vetro solo per sé stesso, e non anche «interpretando» i desiderata di artisti come Andries Dirk Copier e Dale Chihuly. «Ero stanco di pensare con la testa degli altri», ricorda oggi, senza rinnegare nulla, però, di quelle fondamentali esperienze.  Il risultato, stupefacente, è nella mostra veneziana, dove ci sono i «Masai», le installazioni di elementi in vetro rivestiti d'oro e decorati da graffiti primitivi, che, per la loro forma, ricordano le lance e gli scudi dell'omonima tribù africana, una delle «invenzioni» di Tagliapietra. Come le gondole «primarie» fluttuanti nell'aria di Endeavor, uno dei lavori più recenti. Ma il visitatore potrà sperdersi tra gli algidi e raffinatissimi Vasi spirale degli anni '90, in vetro soffiato a mezza filigrana. O ammirare gli Hopi blu cobalto, che si rifanno nell'intreccio vitreo ai canestri dell'antica tribù indiana. Ciò che veramente lascia increduli è la straordinaria varietà del linguaggio artistico di Tagliapietra nel vetro, all'interno di una cifra comunque inconfondibile.  

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