Vita di Pietro Bembo un patrizio veneto atipico

Quel ragazzo che scelse gli “ozi” letterari invece della carriera politica e amministrativa doverosa per un nobile. L’incontro con Lorenzo il Magnifico
Di Paolo Coltro

di Paolo Coltro

PADOVA

Dalla storia riemerge Pietro Bembo: con la mostra che sta per aprire i battenti a palazzo del Monte di Pietà a Padova gli si fa un nuovo monumento, nel XXI secolo, cioè a 500 anni di distanza dalla sua vita e dalle sue opere. Perché? Perché Bembo è stato una chiave di volta: ai suoi tempi, e questo è l'affascinante compito della mostra, per raccontarlo, spiegarlo, aprirlo come finora non è stato fatto. Ma chiave di volta anche per noi del XXI secolo, perché magari senza saperlo compiutamente, parliamo, leggiamo, studiamo in modi che hanno le loro radici proprio in tutto quello che Pietro ha pensato e proposto. Non è così immediato percepirlo, ma in questi cinque secoli le idee di Bembo sulla lingua letteraria, sul volgare da usare scrivendo prosa e poesia, si sono fatte prima parola e poi cibo, infine carne. Così generazioni di italiani, e le ultime siamo noi, son venute su camminando magari senza saperlo sulla strada tracciata con chiarezza e fortissima decisione da quel veneziano atipico che tanto contò nella cultura umanistica a cavallo tra Quattro e Cinquecento. I secoli non hanno sconfessato Bembo: i cambiamenti della lingua, della cultura, dei modi di espressione nascono comunque dalla sua radice, che fu innovativa e rivoluzionaria. Come se avesse detto: questi sono i colori fondamentali, e poi ogni tempo e ogni epoca li adopera nelle combinazioni che vuole e sa.

Fosse solo per questo, Pietro Bembo è figura importantissima. Ma non c'è solo questo. Prima, insieme e oltre lo studioso c'è l'uomo Pietro: con una vita che come ogni vita diventa attualissima se colta nel suo divenire, e non solo negli esiti che si consegnano alla storia. Si parlasse solo di letteratura, sarebbe inevitabile imbattersi nelle ragnatele del tempo. Ma se si guardano i giorni di Pietro, i viaggi, gli amici, gli amori e questo si cerca dietro le sue parole scritte, allora non c'è ombra di ragnatela. Solo vivezza, dinamismo, passione: una vita del passato che potrebbe essere un romanzo del presente. Soprattutto per questo si fa la mostra: perché sì Bembo è figura culturalmente rilevante e fa bene ripercorrere la traccia profonda che ha lasciato; ma soprattutto c'è tanto da raccontare, c'è un'esistenza piena di stimoli, agli antipodi della banalità, che si fa quasi fatica a starle dietro.

La lezione che arriva dal Cinquecento non si ferma alle pietre angolari su cui si fonda il nostro Rinascimento. Diventa manifesto per un rinascimento attuale, magari individuale. In due parole: sarebbe bello avere una vita come quella di Pietro, anche cinque secoli dopo e mutatis mutandis. In fondo, a questo serve la mostra a palazzo del Monte di Pietà: a rivivere un uomo del passato per dare una carica al presente. «Fatti non foste per viver come bruti».

E però se chiedi in giro, pochi sanno chi è Bembo. Le antologie dei licei gli dedicano poche righe, mezza paginetta se va bene. Se non sanno chi è, come fanno cercarlo i ragazzi di oggi? Eppure Pietro abita regalmente sul web: di lui c'è tutto, la biografia, le opere, i commenti critici. Sparsi e virtuali, pe. rfino i dipinti che aveva in casa e che adesso bisogna ritrovare ai quattro angoli del mondo. Insomma, la magnificenza di Bembo è diventata virtuale, quindi eterea: probabilmente proprio come lui sperava. Ma è importante toccare con gli occhi, e da vicino: per questo la mostra, che ti fa uscire il veneziano dallo schermo luminoso, te lo fa toccare. Se te lo fa invidiare, è un buon inizio.

Per conoscerlo, è bene cominciare dalla biografia: nel suo caso, non la cornice di uno studio e di una produzione letteraria appassionata, ma l'essenza stessa di quel che ci è rimasto di lui. Se leggiamo gli "Asolani", che parlano d'amore ma sembrano un po' filosofia e modo letterario e modi da intellettuale, dobbiamo invece immaginarci Pietro innamorato e amante, tenebroso e intrigato, focoso, capace di rischiare le ire di un marito per finire a letto con sua moglie. Questo è Bembo: un teorico che stava ben dentro al mondo, che per carità, magari vedeva la letteratura come sublimazione, ma intanto accumulava materia per sublimare più avanti...

Pietro nasce a Venezia nel 1470. Nasce bene, perché la sua è una famiglia di patrizi, anzi una delle famiglie più in vista di una Venezia al culmine del suo successo, per non dire predominio, economico. La madre è Elena Marcello, papà Bernardo è di quelli che fanno la Serenissima così com'è diventata: imprenditore, ricco ma anche colto e politico. Bernardo è la sua città: la vive e la rappresenta. È ambasciatore a Firenze, poi a Roma. È podestà a Ravenna e a Bergamo. Conta, ma non vive di sola politica e potere. Guarda, legge, studia: mette insieme una biblioteca che ad inizio '500 è la più ricca di Venezia, quattromila e passa libri, in grandissima parte manoscritti. Pietro nasce in quest'ambiente e lo respira. Non si sa molto sulla sua formazione giovanile: studia in casa, quindi ha un precettore. Carlo Dionisotti, il maggior biografo dei nostri giorni di Bembo, definisce questo maestro, Giovanni Alessandro Urticio, un "oscuro umanista". Povero Urticio, affondato in una mediocrità oscura... Eppure qualcosa deve aver instillato in quel ragazzino sveglio, se Pietro è diventato il Bembo di poi. E inutile non doveva essere, se lo troviamo al suo fianco ancora nel 1488, cioè quando l'allievo aveva diciott'anni. Pietro bambino non fa solo le aste con Urticio e legge i libri di casa, quelli che può, solo un assaggio: ha anche esperienze che altri bambinbi non hanno. Segue per esempio il padre nella sua seconda ambasceria a Firenze, dal '78 all'80. È vero, non ha nemmeno dieci anni, ma vede e respira la Corte dei Medici, conosce Lorenzo il Magnifico e se ne ricorderà sempre. Contano, le vivide impressioni dell'infanzia. Contano anche i rapporti che il padre intesse con gli ambienti fiorentini, la cerchia dei Medici, i letterati di corte, e più avanti questi legami si riverberano sul figlio.

Qualche anno più tardi papà Bernardo è podestà a Ravenna, Pietro ha tredici anni e non si sa bene se abbia seguito il padre. Il quale, tra le cose importanti che fa a Ravenna, ordina il restauro della tomba di Dante. Gliel'avrà raccontato a Pietro, non vi pare? E giù a parlar di Dante con l'oscuro Urticio. Quando Pietro va al seguito del padre a Roma ha già diciott'anni: ci resta un anno, ormai capisce bene e introietta la Roma «classica, umanistica e cristiana che tanto peso doveva avere nella sua vita» (Dionisotti).

Va anche a Bergamo, Pietro, perché suo padre è nominato podestà per un anno. A vent'anni il ritorno a Venezia. Ora la sua vita è pronta a partire. È un Bembo, il cursus honorum lo aspetta. Ma Pietro ha altre idee e inclinazioni. A vent'anni si è già iniziato alla poesia.

(1 - continua)

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