«Vogliono abbattere il platano secolare». Papafava sotto accusa

PADOVA. Un platano secolare rischia d’essere abbattuto. Una schiera di professionisti insorge, ma il primo ad essere «profondamente addolorato» è il proprietario, il conte Alberto Papafava dei Carraresi.
In questa storia ogni dettaglio è nobile o nobiliare: nobile il platano di 300 anni in fin di vita; nobile la sua dimora, palazzo Papafava in via Marsala; nobile, con titolo di conte, il proprietario che già ne piange la sorte perché l’albero «rappresenta generazioni della mia famiglia, oltre ad essere un monumento per la città»; nobili i professionisti che hanno sollevato il caso e si dicono disposti a consulenze gratuite. In prima linea Claudia Pavoni, agronoma, una delle fondatrici dell’Associazione nazionale Giardini Italiani.

«La settimana scorsa hanno potato in maniera “blasfema” questo platano di 300 anni» si scatena l’agronoma. «Voglio capire se la Sovrintendenza ha dato il permesso: siamo di fronte ad un albero monumentale tutelato per legge, oltre che per ragioni etiche».
La Pavoni ha segnalato la vicenda alla guardia forestale. «I lavori di manutenzione dei giorni scorsi sono capitozzature e mani di colore che si facevano negli anni ’50» continua. “Massacrare” così una pianta significa fare danni fino alle radici: non avrà la linfa necessaria e la forza di reagire a malattie».
La manutenzione di questo “grande nonno” non è faccenda recente. La famiglia Papafava se ne prende cura da secoli, è di tre anni fa un intervento da 10 mila euro: «conosco quel lavoro», riferisce l’agronoma, «era di Luigi Sani, di Firenze, che ha impegnato una squadra di giardinieri che si sono arrampicati fino in cima per una tomografia. I recenti lavori non hanno nulla a che fare con questa professionalità. Non è giusto: una pianta monumentale è anche un mio bene e non accetto sia condannata a legna da ardere».
Quello del platano di via Marsala è uno dei casi più gravi «ma non l’unico», riferisce Pavoni, «Sto monitorando un condominio di via Manin: hanno tagliato un Diospyros Kaki e temo sia a rischio un leccio, se ci mettono la sega li denuncio. Non condivido neanche le scelte del prete del Torresino che sta tagliando senza scrupoli: capisco che la proprietà sia della Curia, ma anche la Curia risiede nella città».
I diretti interessati ribattono in maniera diametralmente opposta. Il conte Papafava è commosso: «sono addoloratissimo che il mio albero sia destinato a morire», spiega, «una carie lo sta mangiando e il rischio è lo schianto. In presenza di rischio di crollo, con grandissimo dolore, devo salvaguardare prima le persone (a cominciare dalla mia famiglia) e le case intorno perché il platano è in mezzo alla città. Dunque è tutto verissimo e io non sono esente da critiche, ma di fronte alla sicurezza degli altri, le considerazioni estetiche sono dolorosamente da dimenticare. Se degli esperti vogliono giudicare la perizia dell’abbattimento, sono pronto ad aprire la porta. Abbiamo messo eccome mano al portafoglio, sono 40 anni che lo curiamo. Poi un fungo l’ha aggredito e la superficie è stata ridotta a poco più di un cartone: se questo è il sostegno dell’albero, è un rischio che non posso correre».
Al contrario, don Luca Fanton, parroco del Torresino, risponde: «Non sono alberi comunali, non ho niente da riferire in merito».
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