«Con la mia guardarobiera tra i fantasmi e la follia»
Patrick McGrath incontra i lettori a Padova per parlare del suo nuovo romanzo «Una storia nella Londra del dopoguerra, dove c’è più Shakespeare che Poe»

April 16, 2016 - Paris, France - Patrick McGrath, English writer in 0011.
È uno dei padri del “new gothic”, un nipotino di Hitchcock per come riesce a trasmettere ansia al lettore; soprattutto, un analista dei più raffinati del mondo della psiche e della sue malattie. Patrick McGrath, autore di best seller come “Follia” e “Spider”, diventati anche film di successo, è in Italia per pochi giorni per presentare “La guardarobiera” (La Nave di Teseo, pp 438, 19 euro), il suo ultimo libro, da pochi giorni in libreria. Domani alle 18. 30 sarà a Padova, al San Gaetano, all’interno della Fiera delle Parole, che quest’anno prevede appuntamenti nel corso di tutto l’anno.
Da dove deriva la fascinazione per la follia che è presente in tutti i suoi libri?
«Fino a vent’anni ho vissuto a Broadmore, un manicomio in cui mio padre lavorava come psichiatra. Il mio contatto con la follia è stato quindi molto precoce, anche perché mio padre mi raccontava molte cose e vedevo di persona i pazienti. Poi a dieci anni, non so bene perché, forse avevo già mostrato una certa inclinazione, mi hanno regalato i racconti di Edgar Allan Poe ed è nato così il mio interesse per i romanzi gotici. Questo ha influenzato i miei gusti letterari e quando ho cominciato a scrivere mi è venuto quasi naturale inclinare verso l’horror, verso il romanzo gotico, verso storie in cui la psiche ha un ruolo determinante».
In questo libro racconta la Londra del secondo dopoguerra, con un fenomeno poco conosciuto come il rigurgito fascista. Cosa l’ha spinta a questa ambientazione?
«Erano anni che pianificavo di scrivere un libro sulla Londra del dopoguerra. Mi interessavano quegli anni e leggendo, per mio interesse personale, mi sono imbattuto in questa storia poco nota, una vera e propria storia segreta che riguarda proprio il periodo tra il 1945 e il 1950. Dopo la guerra i fascisti che erano stati imprigionati negli anni della guerra furono liberati e ripresero a fare esattamente quello che facevano prima: disegnavano svastiche, marciavano nei quartieri ebraici, distribuivano materiale come se nulla fosse accaduto. Per me fu uno shock scoprire queste storia, figurarsi che shock subirono i soldati che tornavano in patria, specie se erano ebrei. Così reagirono con forza e riuscirono a smantellare il movimento fascista».
Lei racconta quasi sempre il passaggio dalla normalità alla ossessione. Siamo tutti malati potenziali?
«No, non direi. Il romanzo però non racconta la normalità, racconta sempre un momento di crisi, o almeno per me è così. Quindi quando ho definito i personaggi e l’ambiente cerco di capire quale possa essere l’elemento credibile che può scatenare la crisi e la psiche è secondo me l’elemento determinante».
Per questo, come dice in un suo libro, psichiatri e scrittori sono simili?
«Lo penso. Entrambi sono curiosi delle motivazioni dell’essere umano, dell’inconscio, delle motivazioni nascoste. Lo psichiatra lo fa per cercare una terapia, lo scrittore cerca invece una forma narrativa per raccontare la mente del protagonista che ha creato sulla pagina».
In questo libro protagonista è anche il mondo del teatro. Cosa la attraeva?
«Mia moglie ha fatto l’attrice e ora è una regista. Tramite lei ho conosciuto bene il mondo teatrale, gli attori, il backstage. Questa familiarità mi ha spinto a voler raccontare l’ambiente teatrale, e ho pensato alla storia di un attore morto e del sostituto che prende il suo posto in una commedia shakespeariana. La moglie del morto comincia a credere che il marito in qualche modo sia rimasto lì, sia in colui che ha preso il ruolo e di qui nasce la storia».
In questo caso il libro è più Shakespeare che Poe.
«Sì, il teatro e il gotico non vanno d’accordo. Poe descrive sempre individui isolati, mentre il teatro è il luogo della socialità. Mi ha divertito molto, devo dire, poter giocare con Shakespeare, però qualcosa di Poe è rimasto, perché la vicenda si chiude con “La contessa di Amalfi” che per me è un testo molto gotico».
Spesso i suoi sono anche romanzi storici.
«
La mente dei miei personaggi è la fonte primaria del mio interesse ma loro non potrebbero esistere senza una ambientazione, un contesto. In questo caso mi serviva per evidenziare non una armonia ma una disarmonia tra personaggi e contesto. In più ho usato Londra come un personaggio in più, è la città che crea il colore, l’atmosfera di questo romanzo».
Una delle chiavi dei suoi libri è l’ironia. Come si combina con la attenzione alla follia?
«Penso che nel fluire della scrittura non si è mai concentrati solo sulle passioni. Ci sono molti altri elementi nella scrittura e quindi ci sono inevitabilmente digressioni, dialoghi, riflessioni dei personaggi che consentono di alleggerire ironicamente il racconto».
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