Con Lav Diaz il primo Leone per le Filippine

di Manuela Pivato
Il Leone d’Oro per la 73esima Mostra Internazionale d’Arte cinematografica vola nelle Filippine e sfugge a film che sembravano averlo già in tasca, come “Jackie” o “La La Land”. Il regista Lav Diaz, con le quasi quattro ore di “The Woman Who Left” liberamente tratto da un racconto di Tolstoj, si è aggiudicato ieri sera nella Sala Grande del Palazzo del Cinema il massimo riconoscimento del festival, nella sua personale commozione e in quella dei suoi attori seduti a metà platea con il vestito della festa e le lacrime agli occhi. «Dedico questo premio al mio Paese» dice il regista.
Leone d’Argento Gran Premio della Giuria a Tom Ford (che sette anni fa vide assegnare la Coppa Volpi a Colin Firth) per il thriller psicologico “Nocturnal Animals”, che ringrazia in italiano la giuria dei film in Concorso presieduta da San Mendes. Si sdoppia per due film diversissimi tra loro, sollevando qualche mugugno in sala, il Leone d’Argento Premio per la migliore regia che finisce ex aequo nelle mani del messicano Amat Escalante, regista di “La Regiòn Salvaje” e in quelle del russo Andrei Konchalovsky, autore di “Paradise” che in molti avrebbero desiderato sul gradino più alto del podio e che dedica il premio «alla memoria dei grandi figli della Russia che hanno sacrificato la vita per salvare bambini ebrei».
Poche sorprese per le Coppe Volpi. Quella per la miglior interpretazione femminile va a Emme Stone, attrice, ballerina e cantante in “La La Land” e già tornata oltreoceano che ringrazia via video. «Vorrei essere lì per sapere che è tutto vero e che non è uno scherzo» dice la Stone da quello che sembra il salotto di casa «non c’era festival migliore di quello di Venezia per presentare questo film».
È invece l’argentino Oscar Martìnez, protagonista di “El Ciudadano Ilustre” di Mariano Cohn e Gastòn Duprat, applauditissimo in sala, a portarsi a casa la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile. «Un premio di valore incommensurabile» ringrazia l’attore.
Si deve accontentare del Premio per la migliore sceneggiatura il lanciatissimo “Jackie” di Pabo Larraìn, che molti avrebbero voluto ben più in alto, sia per la regia che per l’interpretazione della magnifica Natalie Portman già in odore di Oscar. Ed è palpabile la delusione del pubblico per il Premio Speciale della Giuria, assegnato a “The Bad Batch”, storia di un amore cannibale firmato da Ana Lily Amirpour che dimentica dov’è e salta sul palco in shorts e biker. «Se i miei genitori fossero vivi, anche loro avrebbero amato questo cavolo (shit, in inglese) di evento». Non tanto gentile, quanto invece trasuda gioia e gratitudine la giovanissima Paula Beer, 21 anni, tedesca, premiata con la Coppa Marcello Mastroianni a un giovane attore emergente per la sua prova in “Frantz” di Francois Ozon.
L’Italia, come da previsione, resta a bocca asciutta, fatto salvo che per il Premio Orizzonti per il miglior film tributato a “Liberami” di Federica Di Giacomo, storia di esorcismo per la quale la regista ammette «che forse c’è stato lo zampino del diavolo».
Già il lungo red carpet della serata conclusiva del festival era stato disseminato di indizi su chi avrebbe vinto e chi sarebbe rimasto a casa. Mille gli invitati arrivati in ordine sparso e preceduti dalla madrina Sonia Bergamasco (ancora in Armani lungo e grigio, gonna a scaglie e bustino a fiori), dal presidente della Biennale Paolo Baratta e dal direttore del festival Alberto Barbera. Sfilano le Giurie al completo, quella del Concorso con una Chiara Mastroianni in nero dalla testa ai piedi, quella di Orizzonti con Robert Guédiguian e quella del Premio Venezia Opera Prima capitanata da Kim Rossi Stuart al fianco della fidanzata Ilaria Spada. Arrivano l’archistar Rem Koohlass con il figlio regista che sembra uscito da una saga vichinga, si concretizza Valeria Marini in pizzo nero e carne con borsa a farfalla, si mescolano coloro che già sanno che ce l’hanno fatta.
Poi, mentre il red carpet attende i calli (veri) di “The Magnificent Seven” con Denzel Washington e Chriss Pratt, tutti sotto la tensostruttura trasparente in riva al mare dell’Excelsior per il cocktail di congedo in clima soft: niente musica, dress code sobrio (non per tutte) e una valanga di tartine per ristabilire i carboidrati persi sui red carpet.
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