Il secolo di Guido «La mia vita? Fortuna sfacciata»

Vaccato, proprietario della farmacia di Piazzola è sopravvissuto alla spedizione in Russia

Se la fortuna esiste, ha sicuramente fatto tappa a Piazzola sul Brenta: qui vive da un secolo, esattamente dal 29 gennaio 1918, Guido Vaccato, proprietario della farmacia che si affaccia sulla piazza della celebre Villa Contarini. Ma se arrivare ai cent’anni lucidissimi e in buona salute (se si esclude il male alla schiena che lo affligge da appena qualche mese) è già un segno di benevolenza della sorte (non a caso Guido si chiama anche Benedetto Spiridione), tutta la vita del neo centenario è stata segnata da una fortuna che lui stesso definisce «spudorata», o «sfacciata»: a partire dalla guerra, che Vaccato ha superato indenne (e, tra l’altro, senza sparare un solo colpo) a differenza di tanti suoi commilitoni, per continuare poi in molti altri snodi importanti della sua vita.

«Ero stato arruolato come sottotenente dopo il diploma in ragioneria conseguito a Padova» racconta Guido, figlio di un assicuratore e di una barista «dopo un periodo in Piemonte e alcuni mesi sul fronte jugoslavo, nel luglio del 1941 la nostra divisione, la Celere, fu inserita nel Corpo di spedizione in Russia. Io ero nella Sussistenza, ero responsabile dei forni per il pane, che producevano oltre 10 mila razioni da 7 etti al giorno».

Com’è noto con l’arrivo dell’inverno le sorti della guerra, che fino ad allora avevano registrato la trionfale avanzata degli eserciti dell’Asse verso Stalingrado, iniziarono a rovesciarsi. «Ricordo che era il 19 dicembre quando si presentarono da me trafelati tre o quattro soldati, ancora coi grembiuli da panettiere addosso, che raccontarono di essere sfuggiti a un’incursione dei russi. Andai subito a riferire al Comando di divisione, ma un maggiore mi disse di stare tranquillo, che la sera stessa sarebbe arrivato un battaglione di tedeschi che avrebbe rimesso a posto tutto. Arrivarono infatti, ma furono rapidamente annientati dai russi. Eravamo completamente circondati, e il Comando neppure lo sapeva».

Il giorno dopo iniziò la manovra di ripiegamento, nel caos più assoluto. Quasi 400 camion con i viveri, i forni, gli ospedali da campo, furono radunati in una spianata, e Vaccato fu mandato in avanscoperta verso ovest con un piccolo convoglio, in cerca di ordini. «Fu la prima volta che scampai alla morte» racconta «sopra di noi sentivamo volare gli aerei russi, ma una fitta nebbia ci nascondeva alla loro vista, impedendo loro di bombardarci. Non solo: poco dopo la nostra partenza arrivarono nella spianata quattro carri armati russi che fecero strage dei nostri commilitoni. Il nostro gruppo si aggirò per tre giorni nella steppa innevata, ma alla fine riuscimmo a uscire dalla sacca: ad aiutarci fu un altro colpo di fortuna, il ritrovamento a fianco della strada di un fusto abbandonato pieno di benzina, quando ormai il nostro camion l’aveva finita».

Nei mesi successivi l’unità di Vaccato condivide le alterne vicende della campagna russa, culminate con la disastrosa ritirata dell’esercito italiano magistralmente raccontata da Mario Rigoni Stern in “Il sergente nella neve”, che Vaccato conosce a menadito. La campagna di Russia frutta però al giovane e aitante tenente ben altre conquiste, come si evince dalle numerose foto con le dediche appassionate di giovani donne, che emergono dal cassetto dei ricordi. «Dopo un breve periodo di riposo» racconta ancora «la Divisione venne ricostituita a Verona e destinata al fronte africano. Partirono quasi tutti, salvo io e pochi altri: la data della nostra partenza era fissata infatti per l’8 settembre 1943, figurarsi!».

L’ennesimo colpo di fortuna rischia di avere però conseguenze drammatiche, perché a Vaccato, in stato di arresto, si prospetta l’alternativa tra aderire alla Repubblica di Salò e finire internato in Germania. Egli sceglie però la terza via, la fuga. Il giorno che cerca di scavalcare il muro di cinta della caserma trova però dall’altra parte un carabiniere zelante, che minaccia di sparargli addosso. Poi tenta di corrompere i piantoni tedeschi coi generi alimentari della fureria, ma questi si prendono le provviste e poi sparano sul serio, naturalmente mancandolo. Infine gli va bene con la matura moglie di un maresciallo, che spacciandolo per un nipote che doveva aiutarla a fare la spesa lo fa uscire dalla caserma alla luce del sole.

Guido è uccel di bosco, ma trova un “nido” pronto sulle colline veronesi, la villa di un facoltoso vicino di casa, il farmacista di Piazzola Umberto Zanini, che già l’aveva aiutato negli studi e gli era affezionato come a un figlio. Lo stesso Zanini che gli offre, al ritorno a Piazzola alla fine della guerra, un posto da contabile e factotum nella sua farmacia. Guido lavora, guadagna bene, gioca a calcio, gira per il Veneto con una rombante Gilera («la più bella moto che c’era all’epoca in Italia», racconta), si sposa anche, ma le cose vanno male: relativamente, però, perché dopo la separazione («per colpa di lei, quindi senza oneri») trova un'altra compagna, di dieci anni più giovane, che gli darà due figlie e vive ancora al suo fianco.

Ma la fortuna non aveva ancora concluso la sua opera: quando muore, senza figli, Umberto Zanini, Guido Vaccato eredita tutte le sue proprietà: la farmacia, la casa, alcuni campi e la villa nel Veronese dov’era stato latitante durante la guerra. Non bastasse, dal cassetto dei ricordi emergono anche le foto delle sue vacanze nella villa di famiglia alle Canarie, e un’immagine di lui trionfante sulla cima dell'Ortigara, a ottant’anni. «Peccato, adesso, per la schiena», commenta.

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