Il sogno magico del Simbolismo da Odilon Redon fino alla laguna

Il volume analizza l’iconografia del movimento artistico della fine dell’Ottocento partendo dal suo capofila attraverso Moreau e i veneziani 



L’immagine del Simbolismo, la sua iconografia. Vista in particolare attraverso le opere dell’artista forse più rappresentativo di questa corrente pittorica, Odilon Redon.

Ma allargata, anche ad altri protagonisti – primo fra tutti Gustave Moreau – di un movimento artistico che guardò oltre l’apparenza e la realtà sensibile per guidarci nell’immagine di un mondo sognante ed esoterico, ai confini dell’inconscio.

È tutto questo e molto altro il denso e documentatissimo volume che una storica dell’arte attenta come Giuseppina Dal Canton, già docente di Storia dell’arte contemporanea delle università di Padova e di quella veneziana di Ca’Foscari ha dedicato al movimento simbolista, intitolato “Dipingere e scolpire l’idea – Percorsi iconografici nel Simbolismo” (Carocci editore).

il corredo di immagini

Il volume – corredato da un ricco apparato iconografico, che è una sorta di “breviario” visivo agli argomenti trattati – si compone di due parti. La prima è dedicata quasi interamente all’opera di Redon, definito “Il Principe dei sogni misteriosi” da Joris–Karl Huysmans, lo scrittore francese autore del romanzo-chiave del decadentismo, “À rebours”, il cui protagonista, nel testo, contempla finalmente rilassato dai suoi deliri, una reinterpretazione della “Melancolia” dureriana di Redon.

confronto e analisi

È una sorta di filologica “caccia al tesoro” quella che Dal Canton propone nella parte iniziale del libro sul rapporto tra disegni preparatori e dipinti o incisioni di Redon, per poi analizzare alcuni dei temi iconografici – dalla Melancolìa al famoso occhio – dell’artista e le sue fascinazioni letterarie come quella di Edgar Allan Poe. Ma anche le suggestioni visive di un’opera-simbolo di Redon come “Le chevalier mystique” e gli interessi, i rapporti e le influenza dell’artista sullo stesso Gauguin, come testimoniano alcune opere del periodo polinesiano di quest’ultimo. In un libro sul Simbolismo – scritto oltrettutto da una veneziana – non poteva mancare Venezia. “Bella regina maris”, come nel titolo di un dipinto simbolista di François-Jean Amand, contrapposto a fine Ottocento dalla critica francese a un’altra opera evocativa del mito e dell’allegoria della città lagunare, come il famoso acquarello di Gustave Moreau. , in cui la città è una statuaria bellezza femminile che galleggia sulle acque della laguna, poggiandosi a un leone alato, con in mano un ramoscello d’olivo simboleggiante la pace.

Ma c’è spazio anche per le influenze simboliste degli artisti di area veneta, dal muranese Vittorio Zecchin a un vedutista come Teodoro Wolf Ferrari. Per arrivare a Mariano Fortuny, anche attraverso quella «piccola bibbia dell’estetismo fìn de sìecle (secondo una definizione di Pietro Gibellini, come “La beata riva” di Angelo Conti, nata nella Venezia dannunziana e concepita come un dialogo platonico tra l’autore e il divino Gabriele. –

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