Inizia il tempo delle vacanze, ma la vera libertà è non avere mete né connessioni. Soprattutto in questo tempo incerto e difficile

 

L’estate la senti dall’odore dell’aria, dal colore del cielo, dal frinire delle cicale, dall’umido della notte, da quella voglia che le persone hanno di correre nel vento, di alleggerire il corpo e anche la mente, che coltiva sogni di emozioni spesso più ideali che reali. L’estate è anche il luogo del via vai dei programmi, lunghi o stretti, brevi o larghi, carichi di attesa o di pensieri che si piegano nelle contraddizioni e nei comportamenti che abbiamo durante l’anno, riparati dall’inverno, nascosti dal tempo che priva la circolarità dentro il mondo del nostro lavoro.

C’è stato un tempo, qualche decennio fa, che l’estate era ritmata dalla vacanza, che coincideva matematicamente con la chiusura delle grandi fabbriche del nord o con la fine della scuola. La partenza era lì alla portata di tutti, come bisogno fisico, conquista sociale, ma non c’erano le mete esotiche. C’era la campagna dei parenti, con le valigie caricate a forza su treni a lungo chilometraggio o sulle piccole macchine, ma dove dentro stavano stipati in tanti.

E poi c’erano le code, iniziavano al nord e finivano al sud. Erano gli anni di “Sapore di sale”, delle spiagge che andavano da Riccione ad Alassio, fino al Circeo per approdare nelle isole radical chic, da Salina a Ponza e non c’era ancora il fatidico Porto Rotondo, regno del “vippismo” più sfrenato degli anni 80. Sono venute poi le vacanze intelligenti, quelle che venivano programmate per uscire dall’ingorgo agostano: partenze dislocate e dimezzate, le vacanze si riorganizzavano durante tutto l’anno, inserite non in un lungo periodo da vivere tra spiagge, campagne e montagne. Oggi il tempo è breve, la vacanze estive sono una fuga dalla vita, dalla propria vita, da un quotidiano spesso arido, avaro o troppo frenetico, dove il tempo è divorato e dove ogni angolo del giorno è occupato e non dà scampo. Non si va in vacanza, non si va ad alleggerire il corpo e la mente, oggi si va come ultimo baluardo di una modernità che ti imprigiona anche la leggerezza. Oggi il diktat non è quando si va in vacanza, né per quanto tempo e nemmeno con chi, ma il dove è il segno delle aspettative e dei desideri di ogni vacanza.

Dove andare oggi è un compromesso con il rischio. Con gli aeroporti che sono diventati territori di guerra, il dove è l’incognita catturata dal destino. Si va, si può andare ovunque, ma non sai se torni, non c’è più quel peregrinare per il mondo che ti portava, anche senza fantasia, alle radici della storia dell’uomo o di quella natura incontaminata che è stato il paradigma del sogno di qualsiasi viaggiatore. Il mondo di internet ha migliorato la vita dell’estate, perché le ipotesi virtuali sono infinite e non è importante se la vacanza che si farà sarà reale o semplicemente immaginata. Non si sa se potremo mettere i piedi nella vera sabbia, se le mani potranno toccare la frescura dell'erba e se gli occhi potranno guardare veramente il colore dei tramonti o la bellezza di montagne meravigliose. La realtà, se la puoi vivere, è la vera vacanza, quella straordinaria occasione di vivere senza il cellulare, gli sms, il twitteraggio permanente, il controllo morboso di internet che ha così abituato il mondo. La vacanza dovrebbe essere la possibilità di non avere un tempo o un luogo predefinito, ma la libertà di acconsentire alla testa e al corpo di non avere altre prigioni.

È di oggi l’attentato terroristico a Dacca, nell’inquieto Bangladesh e di ieri era Istanbul, qualche mese prima Bruxelles: ecco, la nostra vacanza è oggi poter pensare di poterci liberare dal dove e con chi, per essere finalmente liberi proprio dalla vacanza.

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