“L’isola dei cani”

Seduce e fa riflettere Wes Anderson nel suo ultimo film “L’isola dei cani”. Come in “Fantastic Mr. Fox”, il regista si affida alla tecnica dello stop motion che gli offre la possibilità di sublimare il proprio cinema, inteso come strumento per inventare mondi e popolarli di bizzarrie (umane e non), attraverso pupazzi di plastilina in scala, protagonisti perfetti di una sarabanda visiva che qui si colora di marcate connotazioni politiche. Siamo nel Giappone del 2037 che, a causa di una influenza canina, ha decretato l’esilio di tutti i cani in una enorme discarica chiamata Trash Island.
Il dodicenne Atari Kobayashi parte da solo con il proprio biplano giocattolo alla ricerca di Spots, l’amato cane, segnando l’inizio, con l’aiuto di altri quattro amici a quattro zampe, di una odissea distopica e ribelle.
Per Anderson l’occasione di mescolare le proprie geometrie surreali con la tradizione giapponese (con evidenti riferimenti al cinema di Kurosawa e Miyazaki) era troppo ghiotta per non essere colta. Certo, a volte il regista eccede nelle proprie ossessioni saturando le immagini con una miriade di elementi e sovrapporsi di voci narranti, ma il racconto raffinato ha una gioiosità e alcuni intuizioni dalle quali è difficile non lasciarsi affascinare. (m.c.)
Durata: 101’. Voto: ***
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