L’Italia delle grandi bellezze nascoste il viaggio alternativo di Daverio

Padova, XIV secolo: un mondo curioso e duplice come lo è, del resto, tutto il Medioevo di quegli anni. La città, in mano ai Carraresi, raccoglie le estetiche diverse del Duecento ed è fatta al tempo stesso di mercanti e di signori, di pensatori e di frati, dove vivono fianco a fianco i Francescani, i dottori, i teologi, gli artisti italiani all’avanguardia della loro storia e i documenti artistici francesi all’avanguardia della loro propria e diversa storia.
Testimonianza straordinaria di questa vita contraddittoria del Trecento è l’Oratorio di San Giorgio. Viene decorato nella seconda meta del Trecento da Altichiero, che ha assimilato fino in fondo la lezione di Giotto ma va oltre in un mondo gotico incredibile, con lezioni provenienti dalla cultura nordica, come quella dove, nella Crocifissione di Gesù, il ladrone alla sua sinistra sputa l’anima e il diavolo gliela porta via. La medesima iconografia ricompare a Praga nella Narodni Galerie e naturalmente nell’Oratorio dei Disciplini di Clusone, il che ha spesso fatto dubitare sull’attribuzione di questi affreschi a un artista puramente italiano. Ma era cosi mescolata allora quella società di Padova... E la città, negli affreschi di Altichiero, appare gotica e metastorica, ma piena di cupole.
C’èun altro motivo per cui l’Oratorio di San Giorgio è un documento fondamentale nella storia dell’arte, della cultura e della società italiana: qui, per la prima volta, compare un ritratto di Petrarca. Il poeta è nella moltitudine della folla che assiste al battesimo di re Sevio, mentre un curioso personaggio alle sue spalle indica con il dito che sì, è proprio lui. Per Petrarca, l’intellettuale alla base della nostra cultura moderna ed europea, confesso di avere un debole, anzi forse più di uno. Amo Petrarca perché, come me, si lamenta dell’epoca in cui è costretto a vivere; perché è il primo vero individualista della storia della letteratura; perché è profondamente romantico, ma attenzione: non alla Walter Scott, ma nell’accezione sublime di Roma-antiquo. Petrarca è una sorta di Giano bifronte: guarderà sia indietro all’antichità, sia avanti verso la realtà nuova che inventa. Il latino è la sua vera lingua veloce, ma quant’è moderno il suo eccellente italiano! Soprattutto, Petrarca è la migliore metabolizzazione delle molte complessità del Trecento: antiquo nei riferimenti, italiano nella poesia e formato in questa poesia dal mondo cortese dell’Occitania, imparato ad Avignone. Anche lui ha trascorso a Padova gli ultimi anni della sua vita, e il fatto che a meno di dieci anni dalla morte appaia già negli affreschi di Altichiero la dice lunga: la sua è una figura di mito intellettuale celebrato non più o non solo sulla carta, ma anche e soprattutto nei dipinti. —
Philippe Daverio
da “Grand Tour d’Italia
a piccoli passi”
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