Nelle ferite di Palmira la guerra che distrugge la memoria dell’uomo

La mostra di Aquileia è tappa di un difficile percorso verso il risanamento, l’Italia può svolgere un ruolo guida 
La Via Colonnata. Una delle foto esposte nella mostra 'I volti di Palmira ad Aquileia', allestita dal 2 luglio al 3 ottobre negli spazi del Museo Archeologico Nazionale della città friulana, 28 giugno 2017. ANSA/UFFICIO STAMPA MOSTRA AQUILEIA +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++
La Via Colonnata. Una delle foto esposte nella mostra 'I volti di Palmira ad Aquileia', allestita dal 2 luglio al 3 ottobre negli spazi del Museo Archeologico Nazionale della città friulana, 28 giugno 2017. ANSA/UFFICIO STAMPA MOSTRA AQUILEIA +++ ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING +++
Mai nella storia dell’uomo, neppure nei momenti più bui dei conflitti mondiali del secolo scorso, il patrimonio culturale dell’umanità aveva subito devastazioni così sistematiche e intenzionali come oggi in Siria e Iraq. Dopo oltre sei anni di guerra civile siriana e a tre anni dalla conquista di Mosul e dell’Iraq nord-occidentale da parte del sedicente Stato Islamico nel giugno del 2014, una parte significativa dello straordinario patrimonio culturale di questi paesi è ancora sotto il controllo di forze islamiste, che perseguono la deliberata distruzione dei monumenti e siti archeologici come strumento politico e di lotta per il potere.


Nel suo accanimento contro quelli che considera simboli di idolatria - come i monumenti e le immagini dell’antichità o di altre religioni non islamiche - e di eresia o apostasia (i luoghi di culto sciiti, ma anche le moschee funerarie sunnite), il furore iconoclasta jihadista costituisce certo il fattore più grave di devastazione dei beni culturali di Siria e Iraq. Attraverso la distruzione dei patrimoni culturali millenari di questi paesi, l’Islam tradito del Califfo Abu Bakr Al-Baghdadi intende annullare ogni diversità, colpire il pluralismo, appiattire la caleidoscopica ricchezza di culture e religioni del Vicino Oriente su di un’antistorica e artefatta “purezza” dell’Islam delle origini. In questo senso, la guerra al patrimonio culturale è l’altra faccia della guerra che l’Is conduce contro gli uomini e le millenarie identità etniche e religiose che essi rappresentano. È - come ha sostenuto Irina Bokova, direttore generale dell’Unesco -, una “pulizia culturale” che si affianca alla pulizia etnica perpetrata contro gli Yezidi, le comunità cristiane assire e caldee, i Turcomanni, gli Shabak e le altre minoranze di Iraq e Siria. La lotta per difendere e garantire la sopravvivenza di queste comunità non può essere svincolata dalla protezione del loro patrimonio culturale, che è sì essenziale nel definirne l’identità, ma è anche e soprattutto universale come simbolo della pluralità delle culture, ricchezza irrinunciabile dell’Umanità e di per sé inviolabile. Non si tratta di difendere “antiche pietre” a discapito degli uomini, ma di garantire la coesistenza pacifica delle differenze e di millenarie stratificazioni culturali e, assieme ad esse, la possibilità di una riconciliazione futura: la battaglia è unica!


Il Califfato e la sua guerra in nome di un’inesistente purezza della cultura, tuttavia, non rappresentano l’unico rischio per il patrimonio archeologico e artistico del Vicino Oriente. Ad essi si affiancano minacce più sfuggenti, ma altrettanto gravi, come gli scavi clandestini condotti dallo stesso Stato Islamico o da bande organizzate di “tombaroli” collegati al terrorismo jihadista, ma praticati anche dalle popolazioni locali di diverse regioni della Siria gravemente depauperate da anni di guerra, che, nel saccheggio dei siti cercano una strategia di sussistenza alternativa che consenta di sopravvivere al conflitto in corso.


Molti siti e monumenti di Siria e Iraq sono stati danneggiati o distrutti nei combattimenti fra le parti belligeranti o come conseguenza del loro utilizzo come zona di acquartieramento o postazione militare da parte degli eserciti regolari e delle formazioni militari dell’opposizione.


L’impiego di immagini satellitari e informazioni dall’interno della Siria hanno permesso di accertare che cinque su sei siti siriani Patrimonio dell’Umanità hanno subito danni significativi e, in alcuni casi, sono stati distrutti. L’Is ha concentrato distruzioni e saccheggi in particolare nella leggendaria città carovaniera di epoca ellenistica e romana di Palmira, la magnifica dimora della regina Zenobia nel deserto siriano a cui è dedicata la mostra “Volti di Palmira ad Aquileia” al Museo Archeologico Nazionale di Aquileia.


Le rovine di Palmira erano già state danneggiate da postazioni militari e strutture difensive costruite dall’esercito siriano nei primi anni della guerra civile. Ma la sua apocalisse arriva - a più riprese - fra il maggio del 2015 e il gennaio del 2017. Il monumentale Tempio di Baal, il più piccolo e ben conservato Tempio di Baalshamin ( “Baal Signore del Cielo”), l’arco monumentale a tre arcate che apriva la via colonnata che conduceva al Tetrapilo, il teatro, alcune delle tombe a torre e lo stesso Museo Archeologico della città con le sculture che ancora custodiva, tutto è stato distrutto dai miliziani dello Stato Islamico. L’anziano direttore del sito archeologico, Khaled al-Asaad, che più di ogni altro aveva contributo a inserire Palmira nell’elenco dei siti Unesco, viene trucidato per essersi rifiutato di lasciare la città e di collaborare con i terroristi.


Attualmente, fra i siti Unesco solo la Città Vecchia di Damasco risulta non danneggiata in maniera seria, mentre distruzioni massicce sono evidenti nella Città Vecchia di Aleppo, dove negli scontri tra esercito e opposizione sono state distrutte moschee e scuole coraniche e numerosi edifici del suq, il mercato coperto medievale. Significativi danni sono stati registrati nel teatro romano di Bosra, nel Crac des Chevaliers, il più bel castello crociato della Siria costruito dall’Ordine degli Ospedalieri, e nelle Città Morte della Siria nord-occidentale di epoca tardo-antica.


E, mentre nella sua fanatica visione salafita dell’Islam il Califfato cancella i monumenti degli eretici e degli idolatri per annientare, assieme alle comunità locali, anche la loro storia e identità culturale, contemporaneamente, muovendosi su un doppio e ipocrita binario, vende sul mercato internazionale dell’arte i reperti contrabbandati all’estero da trafficanti clandestini. Una rete internazionale di tombaroli, intermediari, antiquari e consulenti fa arrivare tesori rubati in Siria e Iraq, attraverso la Giordania, Turchia e il Libano, nei paesi in cui il mercato dell’arte è più fiorente, come la Svizzera, l’Inghilterra, la Germania, gli Stati Uniti, ma anche il Giappone e i porti franchi degli Emirati Arabi e Hong Kong. Qui, mercanti senza scrupoli sono in grado di rifornire ogni tipo di acquirente, dal ricco collezionista a musei, passando per decine di rivenditori specializzati per arrivare al collezionista che, fino a poco tempo fa, poteva acquistare monete e ceramiche provenienti dall’antica Mesopotamia anche su eBay.


Ma anche dalle distruzioni più feroci e sistematiche il patrimonio culturale può rinascere attraverso le moderne tecnologie di documentazione, restituzione digitale e riproduzione. L’Italia, con la sua grande tradizione nel rilievo e nel restauro e la sua profonda consapevolezza del valore dell’autenticità e originalità delle opere, può e deve svolgere un ruolo guida in questo campo, come già fu fatto nel passato con la ricostruzione dell’Abbazia di Montecassino e di tanti altri monumenti dell’Europa distrutti dalla Seconda Guerra Mondiale. La mostra di Aquileia sarà certo una tappa di questo lungo e non facile percorso di risanamento delle ferite al patrimonio culturale di Palmira.


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