Quel giorno il Piave si ribellò e cambiò le sorti dell’Italia

Dal 15 al 23 giugno 1918 si consumò un massacro, era la svolta nel conflitto

Dovrebbe – vorrebbe – essere la spallata finale: Vienna pensa a una sorta di Caporetto-bis che metta definitivamente in ginocchio l’Italia, e serva a raffreddare un rovente fronte interno. Carlo I d’Asburgo, subentrato a Francesco Giuseppe, sa bene che il plurisecolare impero costruito dai suoi antenati sta franando sotto le spinte centrifughe dei tanti popoli che lo compongono. E sa ancora meglio quanta sia la stanchezza di una guerra sfibrante che avrebbe dovuto durare pochi mesi, e che si protrae invece da quattro anni. È così che l’Austria-Ungheria mette mano a quella che Gabriele D’Annunzio battezzerà “la battaglia del solstizio”: una massiccia offensiva con l’impiego di 66 divisioni, su un fronte di 130 chilometri, dall’altopiano di Asiago all’Adriatico, con l’obiettivo di far retrocedere la linea italiana sull’Adige.

L’effetto sarà l’esatto opposto: otto giorni di aspri combattimenti segneranno l’inizio della fine per gli austroungarici, una sorta di prova generale della battaglia finale del 24 ottobre successivo. Ammaestrato da Caporetto, e con Armando Diaz al posto di Luigi Cadorna, il nostro esercito regge bene l’urto e passa al contrattacco. Le ostilità iniziano poco prima delle 3 di notte di sabato 15 giugno, con un tiro di artiglieria che si protrae per cinque ore. Quando spunta il mattino le truppe austroungariche, provenienti da Pieve di Soligo, riescono a conquistare il Montello ed entrano a Nervesa; inoltre, 100mila uomini con l’impiego di passerelle varcano il Piave nonostante il fiume sia in piena. Ma è un successo di breve durata. Già il giorno successivo l’avanzata nemica deve interrompersi: a causa delle insistenti piogge di quei giorni, il livello del Piave sale ancora, e le passerelle crollano, sotto l’effetto dell’acqua ma anche dei bombardamenti aerei dell’aviazione italiana e di quella inglese. Così i rifornimenti cominciano a scarseggiare, e le truppe si trovano prive di viveri e di munizioni.

È il momento per gli italiani di passare alla controffensiva. Mercoledì 19 a San Pietro di Novello, frazione della trevigiana Monastier, ha luogo una battaglia decisiva, in cui il VII Lancieri di Milano al comando del generale Gino Augusti, pur in inferiorità di uomini e di mezzi, riesce a sconfiggere gli austro-ungarici passati di qua del Piave; intanto, mentre dalle due sponde del fiume si scatena l’artiglieria pesante, alla sua foce gli italiani allagano il territorio di Caposile per impedire al nemico un’ulteriore avanzata. Alle 13 parte la controffensiva sul Montello, che si protrae fino alla sera del giorno successivo. A fine giornata, Vienna si rende conche la battaglia è persa: alle sette e un quarto della sera Carlo I, dopo essersi consultato con i generali, dà ordine alle sue truppe di ritirarsi sulla riva sinistra del Piave. Le ostilità cessano definitivamente domenica 23, con un bilancio pesantissimo da entrambe le parti: gli austroungarici registrano 11.643 caduti, 80.852 feriti, 25.547 dispersi, per un totale di 118.042 uomini fuori combattimento. Da parte italiana e degli alleati anglo-franco-cecoslovacchi, i morti sono 6.111, i feriti 27.661, i dispersi 51.856, per un totale di 85.628 uomini fuori combattimento.

Non è ancora la mazzata finale, ma ormai la sconfitta degli imperiali si va delineando all’orizzonte. Scriverà nelle sue memorie il generale Erich von Ludendorff, figura-chiave dello stato maggiore tedesco, commentando l’esito della battaglia del Solstizio: «L’Austria aveva riportato una sconfitta che poteva essere decisiva. Non si poteva fare più assegnamento su trasporti di contingenti austroungarici sulla fronte tedesca... Se l’Austria, come avevamo ragione di temere, cadeva, la guerra era perduta. Per la prima volta avemmo la sensazione della nostra sconfitta. Ci sentimmo soli. Vedemmo allontanarsi fra le brume del Piave quella vittoria che eravamo già certi di cogliere sulla fronte di Francia». È il colpo di grazia per l’esercito asburgico, che su quell’offensiva contava per rimettere in sesto non solo il morale ma anche le condizioni materiali dei suoi soldati, come ben rivela la nota diramata alla vigilia delle ostilità dal comandante delle forze sul fronte italiano, generale Svetozar Boroevic: «Soldati! Il nostro Imperatore e Re attacca oggi dall’Adriatico alle Alpi svizzere con tutte le sue forze il nemico, che per il suo tradimento prolunga la guerra. Davanti a voi stanno le posizioni nemiche: è là che vi attendono la gloria, l’onore, buoni viveri, abbondante bottino di guerra e soprattutto la pace finale».

Non ci saranno né gloria né viveri né bottino; tanto meno pace. Il generale Franz Conrad von Hotzendorf, comandante dell’esercito asburgico, viene sollevato dall’incarico, con la sola magra consolazione della carica onorifica di colonnello della Guardia Imperiale. Ed esattamente quattro mesi dopo, alle 3 del mattino di giovedì 24 ottobre, le truppe italiane lanceranno sul monte Grappa la controffensiva che porrà fine alla Grande Guerra.

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