Rapaci e senza limiti le mani sulla città

Trenta milioni di turisti l’anno. 82.191 al giorno di media, bassa stagione compresa. Quattro volte quelli che Ca’ Foscari aveva indicato nel 1988 come «soglia massima sostenibile». 50 mila posti letto, uno per ogni abitante. Un’economia fondata sul turismo, che sta trasformando in modo epocale la città dei Dogi facendola diventare una grande Disneyland. Un parco dei divertimenti senza più abitanti. Senza i suoi artigiani che l’hanno fatta grande, senza vita e senza cultura. Una copia a grandezza naturale dei modelli in stile Las Vegas. Colpa del destino cinico e baro?
Dietro la trasformazione ci sono interessi miliardari. Investimenti e speculazione sulla pelle della città, per spremere il prodotto e ricavarne il più possibile. Le mani sulla città le hanno messe in tanti. L’assenza di una visione strategica e la debolezza delle istituzioni hanno fatto il resto. Risultato è che oggi Venezia vive un cambiamento mai visto nella sua lunga storia. Negozi di vicinato che chiudono e lasciano il posto a bar e botteghe di souvenir a un euro made in China. Take away e pizze al taglio, plastica e lattine.
Chi muove la grande trasformazione? Agli inizi del Novecento la zona industriale di Porto Marghera nasce da un disegno lucido dei primi grandi capitalisti italiani. Giuseppe Volpi e la Sade, società per l’energia elettrica, Vittorio Cini e Achille Gaggia, pianificano lo sviluppo industriale. Negli anni Sessanta il nuovo sviluppo urbanistico, la II zona e i tentativi di espandere ancora l’industria in laguna. La seconda grande operazione finanziaria e speculativa comincia negli anni Settanta. La parola d’ordine stavolta non è lo sviluppo, ma la salvezza di Venezia. Il Mose affidato al concessionario unico Consorzio Venezia Nuova porta in laguna 12 miliardi di euro di fondi statali. Più di metà dei quali vanno spesi per il progetto che ancora non è partito, il Mose. Grandi progetti e grandi opere. Come la sublagunare, 800 milioni di spesa previsti. Archiviata sotto la protesta internazionale. Tessera-City, alberghi, uffici, centri commerciali in gronda lagunare. Un miliardo di investimenti. Il grande porto, le navi passeggeri e l’ off-shore da 2 miliardi, terminal in mare per le navi commerciali.
Ma oggi il vero business “diffuso” si chiama turismo. I visitatori crescono in modo esponenziale, gli abitanti calano. Nel 2010 per la prima volta nella sua storia Venezia scende sotto la soglia dei 60 mila abitanti. Oggi siamo a 54 mila, la discesa non è finita. A Venezia non si trovano più case a prezzi accessibili al cittadino medio. Si salva chi ha la casa di famiglia o vive negli appartamenti pubblici. Quasi diecimila le abitazioni del Comune e dell’Ater, non tutte utilizzate. L’affitto è un miraggio raggiungibile da pochi. Cifre altissime – 1500 euro di media al mese, più di uno stipendio – e soprattutto assenza di offerta. Ai proprietari conviene affittare a settimana, il guadagno di un mese arriva in sette giorni. Spesso in nero e senza regole. Oppure vendere a gruppi che poi fanno dell’affitto turistico un grande affare. Sono migliaia gli appartamenti a Venezia da dove gli inquilini sono stati sfrattati. Adesso sugli anonimi campanelli ci sono i numeri, al posto dei residenti i turisti. Ricchezza sommersa che sfugge ai controlli. Le locazioni turistiche spesso sono affittate in nero, i proprietari sono società con sede all’estero. Si aggiungono alle migliaia di Bed and breakfast, agli affittacamere, agli hotel.
Una valanga che non si ferma. A Venezia nel 2000, anno del Giubileo, i posti letto erano circa 10 mila. Oggi sono arrivati a 32 mila secondo le stime ufficiali. La valanga coinvolge anche la terraferma. Giungono a realizzazione progetti di grandi hotel a Mestre, in area stazione. Realizzati da grandi gruppi europei, russi e cinesi. Almeno 30 mila nuovi posti letto, che arriveranno tra qualche mese. A ingrossare la marea umana che ogni giorno invade Venezia e la trasforma. E a far diventare Mestre una grande città dormitorio. Lo era stata per i lavoratori di Marghera, nel Dopoguerra, lo sarà adesso per i turisti mordi e fuggi. «È ora di dire basta», scrive Italia Nostra in un dossier inviato al governo e all’Unesco, «e aiutare economie diverse dal turismo». Ma non succede. Perché l’appeal del privato e dei suoi finanziamenti pronta-cassa supera ogni resistenza. Ecco negozi e bar della città storica venduti in contanti a cinesi, il moltiplicarsi degli arrivi in nave e aereo, dei mezzi acquei che trasportano i turisti e le merci per i nuovi alberghi.
Un appeal che colpisce anche gli enti pubblici. Sono decine i palazzi venduti dal Comune, dall’Autorità portuale, dalla Regione, dall’Asl, del Cnr, dalle banche. Diventati alberghi. Le isole già zona militare da “valorizzare”, messe all’asta dal Demanio. Venezia è venduta, in alcuni casi svenduta al turismo. L’iniziativa privata ha sempre la precedenza. Palazzi che hanno fatto la storia diventano alberghi, con Variante inclusa nel prezzo. Altri come il Fontego dei Tedeschi sotto il ponte di Rialto, ex sede delle Poste italiane un centro commerciale del lusso.
La programmazione urbanistica non c’è più. Esiste la contrattazione caso per caso. Ma ogni intervento produce effetti complessi. Positivi per chi investe, quasi sempre traumatici per il bene collettivo.
Cinque anni fa, nel luglio 2013, la Biennale ha riproposto il celebre film “Le mani sulla città”, girato da Francesco Rosi nel 1963. Un tema allora esplosivo, con la speculazione edilizia a Napoli, i conflitti di interessi di sinsaci e assessori, il “sacco” edilizio che prende la forma dell’abusivismo autorizzato, e oggi segna gran parte delle grandi città nel Bel Paese. A Venezia questo per fortuna non è riuscito, per la forma urbis unica al mondo della città. Ma la metamorfosi ha agito in profondità. Le mani che spuntano dall’acqua e sostengono i palazzi difendendoli dai cambiamenti climatici forse sono le stesse che hanno provocato l’altro disastro. Quello della trasformazione della città più bella del mondo in un luogo artificiale.
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