«Sono sopravvissuta e farò in modo che ne sia valsa la pena»

A undici mesi esatti dall’agguato che la ridusse in fin di vita nella sua riserva in Kenya (una pallottola si fermò a pochi millimetri dal cuore) Kuki Gallmann è in Veneto, ancora un po’ provata nel fisico ma indomita come sempre nello spirito. Domani alle 17 sarà al Gambrinus di San Polo di Piave (Tv), per ricevere il Premio Honoris Causa in memoria di Giuseppe Mazzotti - difensore del paesaggio e del patrimonio culturale del Veneto, grande amico di Cino Boccazzi, padre di Kuki - che le era stato assegnato a novembre. Se le si chiede come sta, fisicamente e psicologicamente, la risposta ha quasi un tono di sfida: «Sono salva per miracolo, ma con tutto quello che mi è successo nella vita, figurarsi se mi faccio impressionare. Io sono una roccia, e anche questo episodio fa parte della mia storia». Ha 75 anni, oggi: «L’importante alla mia età» dice «è fare in modo che essere sopravvissuta ne sia valsa la pena. Altrimenti tanto valeva».
Ma perché restare ancora a sfidare la morte nella Conservancy di Ol Ari Nyiro, nella contea di Laikipia, assediata da predoni di terre, bracconieri ed estremisti?
«Io sono kenyota» dice «e devo difendere questo luogo dove gli animali selvatici, come leoni, scimmie ed elefanti, vengono protetti invece di essere ammazzati, come ancora avviene quasi ovunque. Ma qui sono anche sepolti mio marito Paolo e mio figlio Emanuele, questo è il mio santuario. E qui sta crescendo la mia nipotina, la figlia di mia figlia Sveva, fra qualche mese arriverà la seconda: stiamo costruendo un matriarcato».
La bimba ha 21 mesi e si chiama Kaia Octavia Nascipai, che vuol dire “nata nella felicità”. «Ci rivedo me stessa bambina» sorride Kuki. «Non ha paura di niente, è curiosa di tutto. La prima volta che l’abbiamo portata al mare si è diretta velocissima verso l’acqua per immergersi, anche se non sapeva nuotare. Io come nonna sono bravissima, la faccio giocare ma ho anche il compito di insegnarle l’italiano e di trasmetterle la conoscenza e il rispetto della natura». Parlando di bambini la voce le si intenerisce: domani a San Polo incontrerà alcune scolaresche della zona che hanno realizzato una ricerca sulla sua vita e il suo impegno ecologista, dedicandola a suo figlio Emanuele, morto a 17 anni per il morso di un serpente.
Ma proprio la sua strenua difesa dell’ambiente, in particolare attraverso la Gallmann Memorial Foundation, mette quotidianamente a rischio la sua vita. Come tutelarsi? «A parte che questi episodi sono imprevedibili, confesso che non ce la farei a vivere in un posto come una prigioniera. Devo dire che il governo kenyota, forse a causa della risonanza mondiale che ha avuto il mio agguato, ora ci appoggia molto, e ha rafforzato la sorveglianza intorno alla riserva, ristabilendo una parvenza di tranquillità. Ma noi puntiamo soprattutto ad avere dalla nostra parte i nostri vicini di casa».
Da tempo infatti la Fondazione Gallmann investe ingenti risorse nelle comunità e nelle tribù che vivono nei pressi della riserva, con la creazione di scuole e cliniche, ma anche con aiuti alimentari: «L’anno scorso con la grande siccità abbiamo dato da mangiare a migliaia di persone. Io stessa ogni fine settimana mettevo in macchina sacchi di grano, fagioli, grasso e andavo in una tribù per distribuirli. Anche quel 23 aprile quando mi hanno ferita non avevo voluto mancare a questo appuntamento. Tutto è più difficile però con gli allevatori nomadi, soprattutto quando c’è una concomitanza fra la siccità e le elezioni».
Nel racconto di Kuki Gallmann emerge il complicato contesto in cui sono nati gli attacchi alla riserva e alla sua persona: da un lato ci sono le aspirazioni degli allevatori ad avere più terreni da pascolare, a fronte della desertificazione indotta dalla riduzione delle precipitazioni dovuta al riscaldamento globale: i 40mila ettari di natura incontaminata della Conservancy sono una tentazione troppo forte, soprattutto con l’enorme proliferazione delle mandrie di vacche dovuta alle politiche fiscali del governo e alla redditività degli allevamenti; dall’altra ci sono le politiche di alcuni partiti estremisti che – soprattutto in vista degli appuntamenti elettorali – promettono l’impunità ai predoni.
Inevitabile chiedere a Kuki Gallmann dove va l’Africa, se verso lo sviluppo o verso la devastazione ambientale e sociale. «Io direi che siamo in una fase di progresso, anche se il problema è quello di sempre: l’Africa ha molte risorse naturali, che sono però ambite da altri paesi più forti e sviluppati, in primis adesso la Cina. Per cui si procede a una deforestazione devastante, che distrugge le specie endemiche e sottrae risorse alle popolazioni indigene. Ora in Kenya è statoscoperto il petrolio, che per l’ambiente e le comunità locali è una sciagura, ma va anche detto che il nuovo governo sta mostrando più sensibilità che nel passato nella tutela dell’ambiente».
E poi, c’è la vera e propria fuga dall’Africa di tanti giovani che approdano nei nostri paesi sostanzialmente a chiedere l’elemosina: «C’è un problema di povertà e di sovrappopolazione, con la conseguente ricerca da parte dei giovani di opportunità di vita e di lavoro che in patria non avranno mai. Ma non è un problema solo dell’Occidente: anche da noi in Kenya ci sono moltissimi profughi, in particolare da Etiopia e Somalia, ma anche da Uganda e Tanzania, più di quelli che arrivano da voi dalla Libia. Nel nord del paese c’è il campo rifugiati più grande del mondo. Sarà sempre così, finché non si risolve il problema della povertà e della sovrappopolazione».
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