Sulle tavole della Serenissima l’alta cucina prima degli chef

La raffinatezza veneta nel Rinascimento è raccontata da libri e opere d’arte Oggi è Food economy. A Treviso un convegno e la rievocazione sul piatto
Di Antonio Barzaghi

di Antonio Barzaghi

Il Trecento segna l’inizio di una nuova epoca per la cultura gastronomica veneta, soprattutto per il ruolo che la Serenissima riveste nel Mediterraneo, punto d’incontro fra tradizioni locali, la raffinatezza della corte di Bisanzio e i sapori offerti dalle spezie che dall’Oriente giungevano a Venezia dopo lunghi percorsi carovanieri.

La città lagunare diventa vera e propria punta di diamante della cucina italiana e ne è testimonianza il “Libro per cuoco” apparso verso la fine del XIV secolo attribuito ad anonimo autore veneziano o veneto. È un racconto della ricchezza della cucina veneta di quel secolo, delle conoscenze delle materie prime e delle tecniche di cottura. Un ricettario esigente, espressione della cucina del patriziato cittadino e archetipo di tutti i successivi trattati e manuali di cucina stampati nel corso del ’500 nelle tipografie veneziane.

Con l’invenzione della stampa Venezia diventa una delle capitali dell’editoria e i libri che escono dalle sue numerose stamperie sono vere e proprie opere d’arte per l’eleganza dei caratteri, la qualità della carta e per l’assoluta perfezione della stampa.

Per tutto il Rinascimento è la città più vivace ed elegante d’Italia, ricca, attraversata da feste quasi quotidiane, da pranzi e cene che hanno come ospiti fissi letterati e artisti e Paolo Veronese nei suoi dipinti si impone quale interprete insuperabile di una Serenissima eternamente grande e felice. Nelle sue messe in scena si affollano intorno a tavole scintillanti personaggi in vesti preziose, figure esotiche, buffoni e animali dai vivaci colori.

Jacopo Tintoretto che impagina le sue “cene” con un’ottica diversa, spirituale e drammatica. La pittura del Pozzoserrato ci offre, invece, le suggestioni del banchettare in villa dove i nobili e le classi mercantili abbienti ed emergenti si deliziano delle gioie della villeggiatura e perpetuano i riti conviviali intervallati da balli, cacce e battaglie navali.

Nel 1574 per festeggiare l’arrivo di Enrico III si organizzò a Venezia un banchetto tra i più famosi. Tutta l’imbandigione era fatta di zucchero dalle tovaglie ai piatti, dalle posate ai tovaglioli e davanti al sovrano comparvero 1260 vivande e centinaia di figure di leoni, alberi e velieri di zucchero recate da 200 nobili veneziane vestite di bianco e di gioielli preziosi.

Autentica star è il cuoco Bartolomeo Scappi, la cui formazione è sicuramente veneziana e a Venezia vengono stampate tutte le edizioni della sua “Opera”, il trattato più importante della storia della gastronomia.

È merito dunque dei tipografi veneziani se tanti importanti ricettari hanno avuto la possibilità di essere conosciuti e applicati nel Veneto, in Italia e in Europa.

Il consumo del cibo nelle terre della Serenissima Repubblica non era intesa come necessità ma assumeva una dimensione nuova, estetica e sensoriale insieme, nella quale, come affermava un altro grande cuoco del Rinascimento, Cristoforo da Messisbugo, il banchetto si trasforma in “ombra, sogno, chimera, finzione, metafora e allegoria”.

Poi un lungo periodo caratterizzato da secoli abbaglianti lentamente giunge al suo epilogo e il mondo comincia a guardare altrove, a Parigi, all’Inghilterra, a Vienna. Venezia non è più un’isola felice, sono finiti i tempi della sua “dolce vita”, ma fino all’ultimo mostra al mondo il suo volto di regina in un finale inebriante, come un gran fuoco d’artificio.

E ancora una volta la pittura veneta - seducente e meravigliosa narrazione del mutare delle abitudini legate al mondo della cucina - con Francesco Guardi e Gabriel Bella fissa la memoria dei fastosi ricevimenti e banchetti di Stato allestiti in palazzi pubblici o privati nel corso del XVIII secolo.

Come accade non di rado, volgendo lo sguardo al passato, ai tempi migliori della propria civiltà gastronomica, il Veneto ha saputo fare oggi della “cultura del cibo” un’arte capace di imporsi in Italia e nel mondo attraverso il saper fare, il saper raccontare della comunicazione e del marketing, il saper vendere dell’internazionalizzazione e il saper innovare dei processi produttivi.

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