I funerali di Stato per i tre carabinieri morti, l’omelia di monsignor Saba: «Hanno servito la patria con amore»
Monsignor Saba li chiama per nome, Marco, Valerio e Davide: «I nostri fratelli hanno seguito la via del servizio per il bene comune. Nel loro incontro con Cristo si saranno specchiati in Lui vedendo così che il volto bello dell'umanità sta nel servire il prossimo». Ecco il testo integrale dell’omelia pronunciata alla basilica di Santa Giustina a Padova

«La vittoria sul mondo e sul male è anche l'amore di chi serve la patria, cioè il prossimo, garantendo la giustizia, il bene comune, la stabilità delle istituzioni preposte a custodire nell'ordine e nell'armonia la comunità umana».
Lo ha affermato l'arcivescovo Gian Franco Saba, Ordinario militare per l'Italia celebrando i funerali dei tre Carabinieri morti a Castel d'Azzano.
Monsignor Saba li chiama per nome, Marco, Valerio e Davide: «I nostri fratelli hanno seguito la via del servizio per il bene comune. Nel loro incontro con Cristo si saranno specchiati in Lui vedendo così che il volto bello dell'umanità sta nel servire il prossimo»
Qui il testo integrale dell’omelia funebre
A voi cari familiari di MARCO, VALERIO e DAVIDE, l'abbraccio di tutti e la preghiera unanime.
E a tutti coloro che sono stati dolorosamente coinvolti e feriti nel tragico evento, da questa casa di preghiera un saluto carico di affetto, vicinanza e di affidamento.
Il dramma del dolore.
L'evangelista Giovanni sottolinea che, mentre Gesù celebra la Pasqua, ci presenta uno dei momenti più duri e dolorosi vissuto dai suoi discepoli: il suo discorso di addio. Duro, doloroso e umanamente incomprensibile è il drammatico evento che ha provocato la morte di MARCO, VALERIO e DAVIDE, e il ferimento di tanti operatori in servizio. Anche noi nell'Eucaristia, Mistero della Pasqua, ricerchiamo luce di consolazione, di fede e di speranza. Dalla mensa della Parola e dell'Eucaristia, il Signore Risorto continua a dirci: «Non sia turbato il vostro cuore». Egli ci insegna a vivere il trauma dell'addio.
La pagina evangelica ci riporta alla casa dell'Ultima Cena, dove anche Gesù sperimenta la tristezza del tradimento e della morte. Tutti sono tristi e percepiscono che qualcosa di terribile sarebbe accaduto: la separazione segnata da violenza e scelte oscure.
Gesù si trova nello spazio dedicato all'amore, alle relazioni, al mutuo sostegno. Egli è con i discepoli nella sala di una casa destinata alla convivialità. In quella casa Gesù aveva spezzato il pane e lavato i piedi, compiendo il gesto sponsale dell'incontro tra Dio e l'uomo. In quello stesso luogo Egli rivela che Dio scende negli abissi della morte per redimerlo con l'amore. Parla ai discepoli stravolti e sgomenti.
Gesù sperimenta l'abisso del male e dell'iniquità; assapora il boccone amaro del serpente antico che oppose la creatura a Dio e le creature tra loro. È il mistero dell'iniquità che Gesù manifesta ai suoi: «Colui che mangia il mio pane ha levato contro di me il suo calcagno».
Gesù non nasconde il dolore lancinante: è il lamento di un uomo ferito dal suo simile, da un amico in cui confidava. Redime così il dramma dell'uomo che, da amico, diventa aggressore del proprio fratello.
Il gesto dell'«alzare il calcagno» è l'atto minaccioso di chi intende calpestare. Esso esprime l'impulso violento di chi eccita il proprio cavallo col tallone per fargli calpestare il suo simile. Gesù ha toccato con mano cosa significhi rompere con violenza la convivialità umana.
O Signore, in quest'ora, dona la luce della consolazione a coloro che hanno perduto gli affetti più cari. Tu sai che in questa notte di tenebra si scontrano incomprensione, dolore, la tentazione di essere refrattari al bene, alla bontà, alla mitezza; è il buio umano del discepolo di tutti i tempi. Insegna anche a noi a saper contrapporre all'intelligenza del male l'intelligenza dell'amore.
Sempre più il nostro mondo è spezzato in ciò che ha di più profondamente umano: la capacità di relazioni nelle quali gli esseri umani non si uniscono semplicemente per collaborare, per fare delle cose insieme, ma per celebrare la loro unità, il loro amore, la loro appartenenza; per celebrare nel quotidiano l'impegno per il bene comune.
Il turbamento profondo che Gesù legge nel cuore dei discepoli è la paura dell'abbandono. Sente forte questa angoscia e la esplicita attraverso una rassicurazione che consola anche noi, in particolare i familiari di MARCO, VALERIO e DAVIDE: «Non sia turbato il vostro cuore, vado a prepararvi un posto».
Gesù annunciava ai suoi discepoli, e oggi anche a noi, che la separazione sarà solo temporanea, che il dolore si trasformerà in gioia e la morte in vita. Egli sa che lo strappo è un dolore lacerante, e per questo entra nel tumulto del cuore per raccoglierne lo smarrimento, i venti della tempesta prodotta dal male.
Sant'Agostino coglie come possiamo essere provati fin nelle midolla: «C'era di che esser turbati, come se dovesse loro toccare in sorte di doversi separare da lui. Ma sentendosi dire: Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore: se così non fosse, ve l'avrei detto: poiché vado a prepararvi un posto (Gv 14,2), si riprendono dal loro turbamento, sicuri e fiduciosi che al di là dei pericoli della prova rimarranno presso Dio, con Cristo».
Papa Leone in un recente intervento ha ricordato che: «Il Risorto ci conduce a casa, dove siamo attesi, amati e salvati».
L'evangelista sottolinea che nel Cenacolo Gesù consola e infonde speranza, come un Padre dal cuore materno: «Non sia turbato il vostro cuore. [...] Abbiate fede anche in me» (v.1). «Vi dico una cosa – continua Gesù – nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. [...] Vado a prepararvi un posto» (v.2). Lui per primo va ad aprire le porte, le porte di quella dimora, attraverso le quali sono passati i nostri cari fratelli e un giorno passeremo tutti.
Vogliamo pensare che in quel tragico momento per MARCO, VALERIO e DAVIDE si siano rese vive le parole di Gesù: «Verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi» (v.3). Il Signore torna ogni volta che qualcuno di noi è in cammino per lasciare questo mondo. «Verrò e vi prenderò». Sono le parole del Cristo Risorto: verrà, ci prenderà per mano e ci porterà con sé.
Nel suo discorso di addio, Gesù indica nell'amore e nel servizio la vera vittoria, la vera gloria, il vero esito vittorioso della sua vita. Servire i fratelli, tutelare il bene comune, significa partecipare all'edificazione dei valori del Regno. «Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore».
Nel Mistero Pasquale del Cristo, Gloria della Croce e Gloria dell'Amore si incontrano assieme. Gesù mostra le resistenze davanti all'idea di successo, di vittoria, di affermazione presente nei suoi interlocutori. Gesù parla di sé stesso come di un chicco di grano caduto a terra, un seme destinato a morire per portare frutto. Qual è la sua gloria, il suo reale peso specifico, il suo reale valore? Dare la vita, perdere sé stesso per amore. La gloria di Dio è la capacità di spogliarsi e umiliarsi perché l'altro possa tornare a vivere; è una gloria che vince la logica del “principe di questo mondo” che si regge sulla autoaffermazione, sulla violenza, sul successo a discapito di tutti e di tutto.
Gesù mostra che la vittoria sul mondo non si realizza in un distacco radicale da esso, bensì in un radicale amore spendendosi per esso. La vittoria sul mondo e sul male è anche l'amore di chi serve la patria, cioè il prossimo, garantendo la giustizia, il bene comune, la stabilità delle istituzioni preposte a custodire nell'ordine e nell'armonia la comunità umana.
In questi tempi si assiste a una crescita a dismisura del senso della libertà, disancorata da ogni forma di riferimento.
La nostra non è tanto una società pluralistica, ma una società policentrica, una società che non sempre riesce a trovare il proprio centro.
Occorre, oggi più che mai, rientrare nella casa interiore per recuperare la capacità di comprendere il senso delle azioni compiute e che si compiono, perché solo nell'intimo si possono valutare e giudicare. La conversione diviene così la strada per una riconciliazione sociale che esige un equilibrio interiore; un'educazione alla virtù etica e spirituale della mitezza, intesa come modo di porsi verso l'altro per non trasformare l'umana convivenza in un “immenso mattatoio” (Hegel).
Raggiungendo il vertice dell'amore sulla croce, Gesù proclama che la vita raggiunge il suo centro, il suo senso e la sua pienezza quando viene donata. Dio è Padre e, in Gesù, serve l'uomo.
Gesù testimonia che servire è proprio di Dio. I nostri fratelli MARCO, VALERIO e DAVIDE hanno seguito la via del servizio per il bene comune. Nel loro incontro con Cristo si saranno specchiati in Lui vedendo così che il volto bello dell'umanità sta nel servire il prossimo, nel promuovere il bene che edifica.
La casa del cenacolo era piena di ferite, di deboli e di fragili, di tenebra e di morte; da quest'atmosfera Gesù esce apparentemente sconfitto, e chi lo seguiva sperimenta lo smarrimento e il tormento del dramma. Ma da quel luogo di morte Gesù irradia la luce dell'amore, infonde la forza dell'amore totale, accende la luce della speranza aprendo un nuovo orizzonte: «Nella casa del Padre mio ci sono molti posti... quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi».
Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova