Elezioni regionali Veneto, Cacciari: «La novità? Gli elettori di destra che hanno scelto un leader moderato»

VENEZIA. La valanga Zaia e la riconferma («scontata») di Brugnaro a Venezia. Il Pd che si salva a livello nazionale. Ma in Veneto e a Venezia «le ha sbagliate tutte e dovrà ricominciare da zero, con tanta umiltà». Massimo Cacciari, filosofo ed ex sindaco della città lagunare, non le manda a dire a quello che un tempo fu il suo partito. Nel 2000 aveva accettato di candidarsi contro Galan, all’epoca leader indiscusso del centrodestra. Aveva perso, anche se con scarti inferiori a quelli di questi giorni. Adesso la sconfitta è nettissima. In Regione e a Venezia, che il centrosinistra ha governato fino al 2015.
Colpa dei candidati sbagliati?
«Ma va... poverini cosa potevano fare di più? Neanche San Francesco avrebbe fatto di meglio. Il punto è che qui il Partito democratico non esiste. Zingaretti avrà il suo bel daffare adesso. La situazione è da Lunga Marcia».

A livello nazionale canta vittoria.
«Hanno evitato la disfatta in Toscana e in Puglia, è vero. E il governo alla fine ne esce consolidato perché anche i Cinque Stelle hanno vinto il referendum. L’oste esalta il vino che ha. Ma siamo sempre lì. Questa è un’alleanza politica che non esiste. Lo si è visto in Liguria dove non è bastata a fermare la riconferma di Toti».
In Puglia e Campania però il centrosinistra ha vinto.
«Ma lì non ha vinto il Pd. Hanno vinto i personaggi e non i partiti. Candidati che tra l’altro non sono lontani da populismi vari. Speriamo che su questo Zingaretti rifletta e agisca».
La vera novità di queste elezioni?
«Non è una novità, era scontato. Ma il vero fatto politico nuovo è l’affermazione della lista Zaia. Un vasto settore di elettorato di destra che punta su un leader moderato. Non gli va più bene la leadership Salvini».
Dunque?
«La Lega deve decidere al più presto se vuole diventare un partito di destra a livello nazionale. Una scelta vera, di carattere culturale. Ci devono pensare, a cominciare da Zaia e Giorgetti. Anche perché Salvini ha sul collo la Meloni e Fratelli d’Italia. Che hanno vinto nelle Marche».
Torniamo al Veneto. Se non è dei candidati di chi è la colpa delle sconfitte?
«Non puoi fare risorgere macerie. Il Pd ha costruito macerie da vent’anni nel Veneto. E dal 2015 a Venezia, quando si sono suicidati. Invece di sfruttare lo scandalo Mose e dire che loro erano sempre stati contrari e le ruberie le avevano fatte altri, si sono semplicemente suicidati. I candidati sono innocenti. In più hanno avuto addosso anche l’onda di Zaia».
Baretta è un moderato, non l’estremista Casson che aveva perso nel 2015.
«Ma è il Pd che non esiste. La Lega esiste, va nei territori. Il Pd no. Non hanno mai voluto il federalismo, quando glielo spiegavamo in tutte le salse. Hanno continuato per sopravvivere».
La leadership Zingaretti è in pericolo?
«No. Zingaretti, come si dice, se l’è scapolata. Ma a Venezia e in Veneto bisogna azzerare tutto, ricominciare. Trovare un gruppo di giovani che facciano proposte, che girino tra la gente. Ripartire da zero, con grande modestia. Non siamo più ai tempi di trent’anni fa. Il mondo è cambiato».
Il suo è un giudizio un po’ severo.
«Dal 2000 in Veneto è cominciata una discesa vertiginosa. Il Pd è un partito che non esiste. Zingaretti deve spiegarlo a quei teste di c... che non hanno capito e continuano come se niente fosse, a chiedere posti e basta. Bisogna, bisognava, ricostruire un territorio, fare proposte, riconquistarsi la fiducia della gente».
Intanto a Venezia Brugnaro governerà per altri cinque anni. Lei cosa ne pensa?
«Che ce la siamo voluta. Certo non è un pericolo per la democrazia, come dice qualcuno. Non è lui l’uomo forte della politica. Forse proverà a farlo. Ma sarà un’amministrazione pacifista, senza grandi rivoluzioni, com’è stata in questi cinque anni. A parte le colate di cemento per gli alberghi di Mestre non ho visto cose “pericolose”.»
Cosa cambia nella politica italiana dopo il referendum sul taglio dei parlamentari?
«Ma niente, assolutamente niente. Dovranno pensare a una legge elettorale. Era scontato che vincessero i sì. Hanno proposto un quesito grattando la pancia ai peggiori istinti populisti. Ne possiamo fare uno al giorno di questi referendum barzelletta. Chiedere “Sei d’accordo con la riduzione dello stipendio dei parlamentari?” Oppure, “vuoi abbassare le tasse al 10 per cento”? Questa non è politica. Sono barzellette». —
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