Il Patriarca: «Rivedere il nostro modello di vita»

Dove va il Nordest? Intervista a monsignor Francesco Moraglia: «La crisi impone nuove scelte»

VENEZIA. Strappando qualche ora al riposo estivo, il patriarca di Venezia monsignor Francesco Moraglia ha risposto ad alcune nostre domande sul tema del futuro del Veneto e del Nordest, dopo la nostra inchiesta pubblicata mercoledì.

Centomila veneti senza lavoro, un tasso di disoccupazione che supera stabilmente il sette per cento, migliaia di famiglie in difficoltà che cercano di dribblare la crisi come possono. Il Veneto non è mai apparso in così grave difficoltà.

Che cosa ci dice questa continua situazione di crisi che stiamo vivendo?
«L’attuale crisi ha, almeno, un aspetto positivo: rappresenta un’occasione educativa unica, soprattutto verso le giovani generazioni. Ci obbliga a riflettere per rivedere stili e modelli di vita che hanno caratterizzato gli ultimi decenni di vita sociale e familiare. Offre l’opportunità di ripensare il rapporto con i beni di consumo e anche le relazioni sociali. Si tratta di rimettere decisamente al centro l’uomo. L’uomo viene sempre prima di tutto: prima dell’apparire e del guadagno facile, a breve scadenza e mai pago. Anche un certo modo di gestire la realtà economica e soprattutto finanziaria chiede d’essere profondamente ripensato in vista del bene comune».

Anche Venezia e il Veneto sono profondamente toccati da questa crisi.
«Le difficoltà del momento presente ci chiedono coraggio e ottimismo; il pessimismo - che non ha mai aiutato nessuno - soprattutto in certi momenti è vera tentazione. Anche nel nostro territorio le difficoltà non sono poche e assumono volti diversi: quello del disoccupato, del precario o dell’imprenditore in difficoltà che non ce la fa più a garantire i posti di lavoro in azienda. La nostra regione è stata molto toccata dal fenomeno dei suicidi di dipendenti e imprenditori in difficoltà lavorative. C’è poi la conflittualità e l’incapacità, talvolta, di elaborare e portare a conclusione scelte condivise per la vita sociale e politica. E il nostro timore più grande - lo segnalavo un mese fa alla festa del Redentore - riguarda proprio il "non aver futuro" che comporta il "veder precipitare nel non senso anche il presente" e smarrire "la capacità di interessarci alla vita, al bene comune e all'educazione delle nuove generazioni».

Da dove e come è possibile ripartire?
«Sappiamo intanto che il nostro futuro, sempre più, sarà caratterizzato da scelte di governance legate non più unicamente al nostro territorio e neppure più solo all’ambito nazionale. La sfida è sapersi inserire in tale contesto, senza perdere la peculiarità locale che ci ha sempre caratterizzati ed è stata per noi una vera risorsa; basti pensare alla piccola e media impresa. L’attuale crisi ha messo, poi, in evidenza come gran parte dei problemi nascano dal fatto che la globalizzazione non è stata guidata a livello di Stati da una corrispondente ed efficace governance politica ed economica. La finanza non può più essere una specie di gioco d’azzardo in mano alla speculazione internazionale, avulsa dall’economia reale. Venezia e il Veneto si inseriscono quindi in un contesto più ampio ma già in passato, e in diversi momenti storici, hanno dimostrato di possedere forza e capacità (legate a una diffusa cultura imprenditoriale e del lavoro) insieme a determinazione, creatività, senso d’innovazione in grado di affrontare e superare i passaggi più difficili. Pensiamo, ad esempio, a una flessibilità del lavoro che non decada nella precarietà».

C’è un’attenzione particolare, una priorità, da tenere in massima considerazione?
«Certo. Tutto questo avverrà anche oggi se sapremo ragionare e agire ponendo al centro l'uomo considerato nella sua dimensione personale, familiare e sociale, soprattutto nel caso della donna. E il Vangelo, che al centro ha sempre la persona, è in grado di generare una cultura capace di vera e piena umanità. Poco più di un anno fa, nel discorso alla Salute, il Santo Padre Benedetto XVI affidava a tutti la riscoperta del nome "Serenissima" che - legato alla città di Venezia - "ci parla di una civiltà della pace, fondata sul mutuo rispetto, sulla reciproca conoscenza, sulle relazioni di amicizia". Il Vangelo contenuto nello stemma di S. Marco "è la più grande forza di trasformazione del mondo... Alla città "serenissima" si giunge per questa via, che è la via della carità nella verità". Il Vangelo è, davvero, annuncio di bene che riguarda tutti gli aspetti umani del vivere, nessuno escluso».

La dottrina sociale della Chiesa ha qualcosa da dire anche di fronte a questa crisi? Magari una “ricetta” per essere soprattutto più felici…
«Sì. E per questo, nell’omelia del Redentore, ho invitato uomini e donne di buona volontà a riscoprire i grandi temi che la dottrina sociale cristiana ci consegna: il valore della persona, il bene comune, la solidarietà, la sussidiarietà, la destinazione universale dei beni, il rispetto e la salvaguardia dei beni del creato ecc. Oggi, nel nostro territorio, appare sempre più decisivo tornare a percorrere, nella concretezza di ogni giorno, le vie di una sussidiarietà capace di solidarietà, che non indulga in rivendicazioni particolaristiche, e di una solidarietà capace di autentica sussidiarietà, così da non cadere nell’assistenzialismo. In tal modo tutti, insieme, potremo affrontare le grandi sfide che ci sono consegnate e, insieme, coglierne le opportunità educative. Costruiremo, allora, un buon futuro per noi e per chi verrà dopo di noi. E solo così ritroveremo il senso vero della nostra vita e della nostra storia».

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