Veneto, 5 mila infarti l’anno: c’entra la crisi

MIRANO. Si va dai 4 ai 5 mila infarti l’anno nel solo Veneto, di cui molti giovani, 2 mila le angioplastiche, mentre dagli anni Ottanta a oggi, sono 600 le morti improvvise per arresti cardiaci tra i 1 e i 35 anni. E la crisi non aiuta. Si tratta di numeri stabili ma occorre fare attenzione: la strada da percorrere è ancora molta.
Questi i dati emersi ieri a Mirano nella quattordicesima Giornata di cardiologia interventistica. Giusto un anno fa, nella stessa sede, il direttore di Cardiologia di Mirano Bernhard Reimers, aveva parlato di un aumento del 30 per cento dei casi tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011. Colpa dell’ansia, dello stress, delle tensioni, del lavoro e dodici mesi dopo la situazione resta stabile.
«Se due anni fa», spiega Reimers «il 10 per cento di giovani veneti, tra i 27 e i 40 anni, accusava un infarto, ora la percentuale è raddoppiata: siamo attorno al 20 per cento. C’è stato un boom iniziale un paio fa ma ora il numero si è stabilizzato. In totale, possiamo dire che il numero d’infarti nella nostra regione varia dai 4 ai 5 mila».
Insomma, la crisi incide anche sulla salute e gli esperti consigliano di fare prevenzione, fare attenzione ai sintomi, come i dolori al petto ma anche toracici, mancanza di fiato, sudorazione, sensazione di affaticamento, nausea, vomito. Si è notato, infatti, come le malattie coronariche aumentino in periodi come questi e una particolare indicazione arriva dagli Stati Uniti nel 1929, con il crollo della Borsa e la grande depressione degli anni Trenta.
Altro aspetto emerso nella giornata di ieri, è la morte improvvisa dello sportivo. A far scalpore in Italia, è stata la morte del centrocampista del Livorno Pier Mario Morosini, avvenuta lo scorso 14 aprile a Pescara. La Regione, dagli anni Ottanta, si è dotata di un registro dove sono segnate questo tipo di morti. Ebbene, dai numeri emersi da Mirano, negli ultimi trent’anni sono state 600 per arresto cardiaco e hanno coinvolto pazienti dall’1 ai 35 anni. Di questi, 60 sono atleti. Sono esclusi i primi dodici mesi di vita, perché possono incidere altri fattori. «Abbiamo registrato numeri stabili tra gli sportivi» osserva Cristina Basso, dell’università di Padova e responsabile veneto delle morti improvvise «mentre non ci sono grosse variazioni tra la gente comune».
Ci sono anche gli atleti fermati durate le visite di idoneità; si parla tra lo 0,7 e l’1,2 per mille però molto resta da fare e si deve creare quella rete in grado di migliorare i controlli. A rischio gli amatori, che spesso si sottopongono a sforzi non previsti. E talvolta non ci sono i defibrillatori, che potrebbero salvare una vita.
«C’è un’idea del ministero» spiega Donatella Noventa di Medicina dello sport di Noale «che prevede come ogni società si doti di questo strumento. Abbiamo pazienti che, una volta fatta la diagnosi, rifiutano la patologia. Così cercano altrove l’idoneità che non hanno ottenuto in certe strutture. Quando si ferma una persona, non può fare certi tipi di sport ma qualcuno non ci sente. Mi ricordo di un uomo che non ci ha voluti ascoltare e poi è deceduto. Stiamo lavorando con l’università di Padova per migliorare l’attenzione, studiare gli atleti, formare i medici».
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