Veneto Agricoltura, pozzo senza fondo

Compiti sovrapposti, contenziosi, uffici a go go. Risultati? Poco o nulla
 
VENEZIA.
Tutte le aziende regionali hanno un direttore generale, perché solo uno comanda. Meno una che ne ha due: Veneto Agricoltura. L'amministratore unico è Paolo Pizzolato, il direttore è Giorgio Bonet. Due nomi diversi per un'unica funzione, al punto che cercano di non essere presenti contemporaneamente in ufficio. Uno prepara le carte e l'altro le firma, dicono i malevoli. Entrambi sono in quota Lega.  Possiamo cominciare da qua la rocambolesca controstoria di questo ente, nato per essere il fiore all'occhiello della Regione Veneto nel 1997 con la fusione tra Esav, Arf e Istituto lattiero caseario di Thiene. Pare che la doppia funzione dirigenziale sia un lascito di Ettore Bonalberti, che comandava l'Arf (Azienda Foreste) e oppose strenua resistenza all'inglobamento, finché la faccenda fu risolta con un emendamento dell'ultima ora che istituiva la poltrona gemella.  All'epoca ognuno dei tre enti era carrozzato con un presidente, un direttore, un Cda (con 34 componenti l'Esav!), un comitato esecutivo e via poltronando. Un «triplone» che era giusto riportare ad un'unica struttura, snella, razionale, moderna, sbarazzandosi delle gestioni inutili. Parola d'ordine: vendere a manetta. Con il ricavato vennero fatte operazioni importanti, esempio il recupero della Corte Benedettina, la nuova sede di Legnaro e altro.  Come siamo messi oggi? Decidete voi. Veneto Agricoltura è rimasta prigioniera della logica di gestire in proprio l'agricoltura. L'ente conserva aziende di cui nemmeno gli agricoltori conoscono l'esistenza. Esempio: l'azienda pilota Sasse Rami di Ceregnano, in provincia di Rovigo, 180 ettari per l'allevamento dei tori. O l'altra azienda pilota di Villiago, nel comune di Sedico (Belluno), 80 ettari, sempre a destinazione zootecnica. Un mestiere che fanno già gli allevatori: perché raddoppiarlo?  La critica vale anche per Intermizoo, società partecipata da Veneto Agricoltura, ereditata dall'Esav, che vende il seme animale. Operazione che fanno già i privati, con i veterinari che visitano gli allevamenti, con il seme che arriva dall'Inghilterra, dal Canada. Si allevano tori per dare lavoro a tre o quattro persone, come ai tempi dell'Esav. Un ritorno alle origini: ma allevare tori è compito di un ente regionale? Intermizoo, presidenza occupata dalla Lega, era stato delegato a tenere il 2% della Fiera di Verona. Non serve più neanche a questo, perché Flavio Tosi ha fatto entrare le banche.  L'azienda pilota Diana di Mogliano è stata tagliata a metà dal Passante: è inutilizzabile, ma resta in carico. Il Centro ittico Bonello, a Porto Tolle e il suo gemello di Pellestrina, sono ridotti a poche persone. Dovrebbero occuparsi di salubrità dei pesci, ma ci pensano i Nas e l'Istituto Zooprofilattico. Dovrebbero promuovere le specie autoctone, perché gli allevatori ne usufruiscano, ma i vallicoltori si sono dati una loro organizzazione. Peraltro la sperimentazione è costosissima.  Al centro ittico di Valdastico, tra Pedescala e San Pietro, è rimasto più che altro il custode. A Corle, la zona umida di Vallevecchia ha usufruito di finanziamenti europei come grande area ambientale: è un laccio al collo definitivo, dovrà essere gestita secondo i parametri ambientali sottoscritti dalla Regione che ne è proprietaria. Ma Veneto Agricoltura la considera ancora produttiva e ci porta i tori.  L'ente è pieno di sedi amministrative: dovevano essere razionalizzate, in accordo con le Province che hanno già i loro assessorati all'agricoltura. O chiude uno, o chiude l'altro. Nessuno dei due.  A Vicenza l'Istituto Genetica Strampelli fa ricerca sulle sementi. La stessa cosa che fa Veneto Agricoltura in due sedi cittadine. La foresta della Lessinia è gestita da Veneto Agricoltura, ma è all'interno del Parco che ha una propria amministrazione, senza contare la Comunità Montana. Nessuno pensa a cedere la competenza, cresce solo il contenzioso tra enti. Stessa situazione nella foresta del Cansiglio.  Per darsi un ruolo Veneto Agricoltura si è buttata sulla ricerca. Ma la ricerca funziona se concentrata e condotta ai massimi livelli. Per arrivare a risultati ci vogliono anni. Nel rapporto interno il personale amministrativo soverchia quello dedito alla ricerca. Significherà qualcosa. Il vivaio di Montecchio Precalcino, che ha avuto un finanziamento europeo di alcuni milioni, ha finito il compito iniziale sulle sementi e le piante autoctone e per continuare ad esistere le vende. Così fa concorrenza ai vivaisti, che sono già in crisi: da qui telefonate, diffide, parolacce.  Il mondo agricolo vorrebbe avere un orientamento sulle produzioni e le colture più adatte al mercato, eppure nessun agricoltore bussa a Veneto Agricoltura. Ci sarà un motivo. L'ente sostiene di trattare con le organizzazioni agricole. Ma ci vorrebbero convenzioni, perché sempre agli agricoltori bisogna arrivare. Resta la funzione di controllo sui formaggi dell'Istituto di Thiene, che i consorzi apprezzano. Il resto sono doppioni, situazioni conflittuali.  Questo ci dice una fonte interna che la sa lunga, a condizione di tacerne l'identità. E' noto invece il bilancio di Veneto Agricoltura nel 2011: l'ente ha un finanziamento di 13.580.000 euro, spende 11 milioni per gli stipendi e sostiene che è sbagliato limitarsi a questo unico rapporto. Ok, proviamo sul resto?

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