Mobilità sanitaria in Veneto, Zaia: «Il sistema tiene». Manildo: «Serve una revisione della legge»

L’allarme lanciato dall’Emilia-Romagna e dalla Lombardia. Stefani: «È giusto garantire le cure vicino a casa propria»

Laura Berlinghieri
Giovanni Manildo e Alberto Stefani
Giovanni Manildo e Alberto Stefani

In Veneto, arrivano soprattutto dalla Campania, dalla Calabria e dalla Sicilia. Attratti – o, più spesso, costretti – da cure e strumentazioni di alto livello, soprattutto nelle branche dell’ortopedia, dell’oncologia e della cardiochirurgia. Un fenomeno che è quotidianità dei nostri ospedali. Dati 2023: oltre 53 mila ricoveri da fuori regione, corrispondenti a ricavi per 253 milioni di euro e a un saldo di 115 milioni.

Numeri ancora più alti in Emilia-Romagna e in Lombardia. Regioni di fede politica opposta: dem la prima, leghista la seconda. Ma i cui presidenti hanno bussato insieme alla porta del ministro della Sanità Orazio Schillaci. Perché, dice il presidente emiliano Michele De Pascale, «serve un grande patto nazionale, perché questa situazione non è sostenibile».

È una questione delicata, soprattutto in un Veneto che è sia terra d’accoglienza che di federalismo. Non a caso, proprio la mobilità sanitaria è un argomento tra i favoriti del presidente Luca Zaia, nello spiegare le ragioni di un’Autonomia anche in questo ambito.

«Fatico a comprendere come, nel 2025, tante persone debbano ancora essere costrette a prendere un treno, alla ricerca di una sanità migliore» l’ultima stilettata, soltanto ieri. Inserita però in un ragionamento che segna una certa distanza dalla presa di posizione del lombardo Fontana.

«Il Veneto accoglie volentieri i pazienti dalle altre regioni italiane e dagli Stati esteri, dando piena disponibilità ai pazienti che scelgono una sanità di eccellenza, dove possono trovare alta specializzazione e centri di riferimento internazionali» dice Zaia, «È chiaro che coloro che vengono in Veneto non lo fanno per curare mali minori o patologie "semplici", ma per situazioni particolari o per far fronte a errori commessi altrove. E quindi la nostra è un'accoglienza particolarmente delicata e certamente onerosa, anche dal punto di vista della spesa sanitaria; ma non ci tiriamo indietro e continuiamo ad accogliere tutti coloro che vogliono curarsi nei nostri ospedali».

Ma non è soltanto questione di onere economico. Ma anche di tenuta del sistema, considerando la continua condizione di affanno a cui è inchiodato il settore, in perenne carenza di personale. Ed è probabilmente per questo che, con Fontana e De Pascale, si schierano i due candidati delle principali coalizioni, in corsa per le elezioni regionali, chiedendo una revisione del sistema.

«L’Autonomia che vogliamo ha tanti obiettivi – dice il leghista Alberto Stefani – tra cui quello di garantire il diritto di essere curati bene, vicino a casa. Il Veneto ha fatto tanto ed è solidale; ma è ragionevole che anche le altre amministrazioni regionali accettino la sfida dell’autonomia e della responsabilità, garantendo efficienza e trasparenza nei servizi pubblici».

«Servono accordi tra le Regioni. Accordi già previsti da tempo, ma che non sono mai stati realizzati» dice poi Giovanni Manildo, candidato del centrosinistra, tendendo la mano a De Pascale.

«L’alta complessità non c’è ovunque – ammette – e i cittadini vanno curati tutti, anche con dolorose migrazioni al Nord. Ma non è ammissibile che dal 2005 il tetto della spesa sia bloccato, perché questo comporta il rischio di non curare più i residenti. La regola è nazionale e va cambiata. Dopodiché, esistono prestazioni di bassa o medio-bassa complessità e, in questi casi, è opportuno distinguere tra la mobilità “indotta” dalle strutture private accreditate e le prestazioni che realmente non possono essere erogate nella regione di provenienza. D’altro canto – prosegue Manildo – da tempo diciamo che la spesa sanitaria nazionale deve superare il 7,5% del Pil».

Mentre l’ultima manovra prevede, da qui al 2028, un ulteriore decremento, dall’attuale 6,3% al 5,6%. E il candidato dem scende nell’agone della politica: «Per risolvere la questione bisognerebbe rivolgersi ai partiti di governo e, in Veneto, alla Lega, che schiera il suo vice segretario nazionale come candidato presidente. E la doppia vita di Stefani non fa dormire sonni tranquilli: in Veneto parla di sociale, per prendere voti, mentre a Roma manda avanti una manovra per ricchi. Sono molto preoccupato per questi fenomeni da dottor Jekyll e mister Hyde, che non pensano al bene comune ma solo alla convenienza di parte».

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