Boniolo, la palla a spicchi rimbalza nell’Università

Dai 15 ai 24 anni playmaker con la maglia del Petrarca fra Tre Pini e San Lazzaro Laurea in Fisica, poi la cattedra al Liviano e a Milano, la famiglia a Rovigo
PD 23 settembre 2003 G.M. Prof Giovanni Boniolo , filosofia (MILANESI) GIOVANNI BONIOLO - MILANESI
PD 23 settembre 2003 G.M. Prof Giovanni Boniolo , filosofia (MILANESI) GIOVANNI BONIOLO - MILANESI

PADOVA. A 15 anni, era il più giovane giocatore della serie A di basket. Con l’eccezione della stagione nelle Forze Armate, fino a 24 anni ha sempre e solo vestito la maglia del Petrarca.

Giovanni Boniolo, classe 1956, incarna una storia che rimbalza dallo sport all’Università. Sposato, con tre figli, ha scelto di vivere a Rovigo con la famiglia. Grazie alla doppia laurea (Fisica e Filosofia) insegna Filosofia della scienza: in cattedra al Liviano e ora al Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Milano, dove fa lezione di Medical Humanities.

La sua è davvero una storia “controcorrente”: campione nello sport, anche senza trionfi; originale e non conformista fuori dal parquet. Boniolo si racconta e insieme rispolvera un’altra epoca di Padova.

La serie playoff del 1981.

Petrarca-Leone Mare Livorno valeva il ritorno in serie A. Una sfida che diventò guerra: «Mai dimenticherò di avere avuto di fronte tifosi feroci. Non avrei mai immaginato di vedere qualcuno capace di inutile violenza: all’epoca rimasi sbigottito». Boniolo rigioca con la memoria: «Ricordo l'amaro non della sconfitta sportiva (per altro lenita dalla gentilezza di una nostra tifosa), ma della mancanza di sportività e della protezione, anche fisica, da parte delle autorità locali. In breve, la penso sempre come una sconfitta dell'idea di uomo che ho e che i tifosi del Livorno non incarnavano, come i molti che scambiano un evento sportivo per un modo di esternare i lati peggiori del loro carattere».

Tre partite infuocate: «A Livorno, abbiamo perso per paura: al palasport non c'era sicurezza e non è stato semplice uscirne scortati dalla poca polizia. In casa, abbiamo pareggiato la serie. Ma tra i tifosi livornesi e il Secondo Celere furono scintille. Nella partita decisiva, a Livorno, abbiamo perso perché non siamo stati capaci di reggere dal punto di vista nervoso. Al ritorno, in bus, tutti rimuginavamo la certezza che si era chiuso un ciclo. Forse, è stata anche la mia "linea d'ombra"...».

Il Tre Pini che non c’è più.

Un luogo che era non solo il nome del palasport storico. All’ombra degli alberi - fra Prato della Valle e l’Orto Botanico - la leggenda della polisportiva dei Gesuiti dell’Antonianum. Una leggenda ormai cancellata a furor di ruspe e dagli immobiliaristi senza scrupoli.

«Il Tre Pini appartiene al tesoro dei ricordi personali come un posto magico in cui passai nove anni: finii l'adolescenza e divenni adulto» racconta Boniolo, «Un tesoro di memoria dentro spiccano nomi come Pretto, Ferro, Boschini, Fiocchi, Pizzichemi, Peroni, Jessi, Giacon, Vigato, Fabris, Rigo e Dalle Vedove».

Playmaker alla moviola.

Nessun modello da imitare, ma una lunga amicizia anche grazie al basket: «Alberto Facco, che però giocava nella Virtus. Ora lavora all'Infn ed è uno dei più stimati fisici degli acceleratori».

L'avversario che non si dimentica? «Spencer Haywood, davvero un altro pianeta. Non scorderò mai la sua stoppata. E poi anche Phil Melillo: immarcabile. Se gli stavi vicino, ti bruciava. Se gli davi spazio, tirava e segnava».

Fisica e filosofia.

«All'epoca delle superiori, con Facco ci chiedevamo che cosa ci sarebbe piaciuto diventare da grandi. Lui pensava all'astronomia, io ero incerto fra filosofia e fisica. "Perchè non il filosofo della scienza?" suggerì Alberto e alla fine è andata proprio così». All’inizio, Boniolo sceglie la Facoltà anche sull’onda della lettura di «La logica della fisica moderna» di Percy Bridgman. In seguito, dovrà ripensare la scienza, sulle orme di Kant. Infine, arriverà l’interesse per la biologia grazie a «Taking Darwin Seriously» di Michael Ruse.

Bio-etica.

«È così venuto naturale cimentarsi con la bioetica. Ho scritto cercando di mostrare che bisogna tener molto distinti il piano filosofico, quello scientifico, e quello, specialmente, religioso. Oltretutto in Italia troppo spesso si parlava di temi bioetici senza la necessaria preparazione scientifica e filosofica. Con questi presupposti ho provato a ragionare, un po' da "ribelle intellettuale", sulle questioni di bioetica» spiega il professore. In gioco, inevitabilmente, scienza e tecnologia nell’umanità rimpallata. Diritti senza più legge oppure volontà di potenza senza limiti. C’è il delicato versante della “buona morte”, ma anche il confine dell’accanimento terapeutico. «L'idea è che ognuno dovrebbe essere padrone della propria morte, come della propria vita» sostiene Boniolo, «Personalmente, non sopporto legislazioni in materia. Sono, ovviamente, contrario all'accanimento terapeutico: ci si deve poter sottrarre in piena libertà a pratiche che non si condividono. Mi pare poi inaccettabile la burocratizzazione forsennata che sta prendendo piede. Perché devo compilare moduli perfino per morire come voglio?».

Petrarca-2 da presidente.

Ma si torna sempre al basket, a Padova, al Petrarca. Questa volta dietro la scrivania: «Un'esperienza estremamente negativa per il ricordo del Petrarca che avevo e che cercavo di ricostruire non rendendomi conto che non c'erano più le personalità di allora» replica Boniolo, «I tempi cambiano e sbagliamo a rimpiangere i tempi passati».Per tre anni aveva provato a vestire i panni del presidente del “nuovo Petrarca”. È uscito, a modo suo, sbattendo la porta: «Dopo 30 anni avevo deciso di rientrare nel mondo del basket padovano. Ma ero rimasto al mondo di allora: c'erano agonismo e rivalità, ma insieme a correttezza ed educazione. Mi sono trovato in un movimento frantumato in rivalità sciocche e astiose. Ma soprattutto, con mia grande sorpresa, mi sono ritrovato un Petrarca vuoto dei valori di allora». Estate 2012, l’ultimo capitolo con Boniolo che alza bandiera bianca di fronte al buco nero degli eredi di coach Nikolic, Radivoj Korac e Doug Moe. «Ho trovato allenatori senza curriculum, ma presuntuosi» afferma Boniolo, «Così ho posto l'aut-aut. Via loro o via io. E la dirigenza mi ha risposto "Vai via tu, abbiamo già il sostituto". Così ho lasciato. Forse, aveva veramente ragione chi sostiene che lo spirito del Petrarca è morto». (e.m.)

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