Calcio a 5, capitano diventa donatore di midollo

Luca Carraro, storico giocatore del Padova C5,  è volontario Admo: «Ho salvato una vita e per questo mi sento grato»



PADOVA. No, non ha senso utilizzare la frase abusata: «Ha segnato il gol più importante della vita». Perché questo gesto vale più di un gol, più di una vittoria, più del mondiale.

Forse è meglio prendere in prestito le parole di Gianni Morandi quando cantava: “Uno su mille ce la fa”. Ma moltiplicarle, perché in questo caso parliamo di uno su centomila.

Luca Carraro, lo storico capitano del Padova Calcio a 5, due settimane fa ha donato il midollo osseo contribuendo a salvare una vita. L’ha fatto sublimando la partnership stretta da Admo con la divisione futsal del Calcio Padova. L’ha fatto e adesso, nonostante una carattere riservato, è felicissimo di raccontarlo.

ECCO COME DIVENTARE DONATORE

La storia comincia quattro anni fa e per rimanere in tema comincia con un...gol segnato quasi allo scadere.

«I volontari di Admo, nel 2016, dopo l’accordo stretto con la società sono venuti a parlarci del loro impegno», spiega Carraro, che al termine della scorsa stagione ha appeso le scarpe al chiodo è diventato vice-allenatore del Padova C5. «Hanno chiesto se qualcuno della rosa volesse tipizzarsi, vale a dire far analizzare i propri dati genetici attraverso un prelievo del sangue, per stabilire l’eventuale compatibilità tra il proprio midollo osseo e quello di un paziente bisognoso di un trapianto. Io ed altri quattro compagni abbiamo accettato. Per me era praticamente l’ultima occasione, ci si può tipizzare solo fino a 35 anni».



Però si può donare fino a 55. Si sarebbe mai aspettato la chiamata?

«No, anzi, pensavo: figuriamoci se, con un rapporto di un donatore compatibile su centomila, chiamano proprio me».

E invece…

«E invece è successo che i miei dati sono finiti nell’ archivio nazionale che viene consultato ogni volta che si presenta la necessità di un donatore. Così, a giugno ho ricevuto la chiamata».

Cos’ha pensato?

«Ero sorpreso, ma non ho mai avuto il dubbio di accettare. I volontari ci avevano rassicurato, spiegandoci per filo e per segno tutto l’iter. Ho risposto di sì e mi sono sottoposto agli accertamenti necessari per procedere con la donazione».

Com’è stato? Impegnativo, lungo, doloroso?

«Niente di tutto questo. Si può donare o tramite un prelievo dalle ossa del bacino, che prevede un intervento con anestesia, o attraverso un prelievo di sangue periferico. Dipende anche dalla tipologia di trapianto. Io ho fatto il prelievo di sangue e per questo nei cinque giorni precedenti ho assunto un farmaco che stimola la crescita delle cellule staminali. In quel periodo non mi sono allenato per precauzione: dopo aver fatto il tampone ho evitato i contatti».

Quindi, è arrivato il giorno della donazione.

«E’ stato veloce. Sono entrato in ospedale la mattina e all’ora di pranzo ero a casa. È stato come un prelievo di sangue di tre ore e mezza. Nessun dolore, nessun effetto collaterale, due giorni dopo ero già al lavoro. Ci tengo a ringraziare, oltre ai volontari, i dottori dell’ospedale di Padova Marson, Colpo e Luca».

Perché, nel sentire comune, la donazione di midollo osseo è associata a qualcosa di doloroso?

«Forse per un equivoco. C’è chi confonde il midollo osseo con quello spinale e quindi pensa alla spina dorsale. Sono cose diverse. La donazione non è dolorosa né faticosa. E sono felice di averlo scoperto grazie allo sport che amo e al mio club che da anni veicola questo messaggio sociale. Domani è la giornata Open Day dei centri trasfusionali, invito chi può farlo a tipizzarsi».

Ha scoperto chi riceverà il suo midollo?

«No, per la privacy, non posso saperlo. L’unica cosa che ho potuto fare è stata quella di allegare alla sacca di sangue una lettera per il paziente. Io mi sono fatto l’idea che possa essere un bambino. Gli ho scritto che ho provato una sensazione unica, la sensazione di essere su una barca e di avere in mano un salvagente da lanciare a qualcuno che sta affogando. Alla fine non ho nessun merito, ma non ho mai provato nulla di più gratificante. Ho pensato che la mia vita vale veramente a qualcosa. Se vorrà, il ricevente mi risponderà scrivendo all’ospedale». —
 

Riproduzione riservata © Il Mattino di Padova