«Con She got game racconto i problemi dello sport femminile»

Silvia Gottardi, padovana, giocatrice di basket e appassionata di regia, spiega come e perché è nato il suo docu-film

PADOVA. «In questo film ho messo tanto di mio, trascinata dalla passione che nutro per il basket. Mi piacerebbe che molte ragazze vedessero al cinema il mio documentario per superare lo stereotipo secondo il quale la donna non può praticare certi sport». Silvia Gottardi, la giocatrice padovana del Basket Milano (Serie B) alla sua prima prova da regista con “She got game”, racconta questo e tanto altro nel suo cortometraggio. Dai pregiudizi agli stereotipi radicati attorno al mondo dello sport al femminile, passando per l’omosessualità, fino al vuoto legislativo e alla carenza di tutele, che riguardano le donne sportive. “She got game”, titolo mutuato dal celebre “He got game” di Spike Lee, è una riflessione a 360 gradi sullo stato dell’arte del basket rosa e in generale dello sport femminile italiano.

Oltre vent’anni di carriera alle spalle tra club (Geas, Priolo, Comense, Treviglio, Reyer, Rhondda Rebels, Cus Chieti, Carugate, Sanga Milano, Harlem Globetrotters), Nazionale, scudetti e trofei rappresentano un curriculum che rende Gottardi l’autrice più referenziata a svelare piccoli e grandi segreti della pallacanestro femminile. «Sono un’innamorata persa di questo sport», confessa, «Dopo aver frequentato un corso per filmaker, ho pensato di realizzare un documentario. Si parla sempre poco di basket femminile, che avrebbe bisogno di maggiore visibilità. L’idea di girare un film è nata con l’amica ed ex cestista Annalisa Zanierato, che lo ha anche prodotto tramite la sua casa Pantera Film».

Sette mesi di lavoro per 64 minuti di cortometraggio con una minitruppa indipendente, che ha visto Gottardi affiancata da Ramona Linzola (riprese), Linda Ronzoni (grafica) e Valeria Simola (foto), portando in dote la Guirlande d’Honneur all’Export Movies & Tv Milano International Ficts Fest 2015, una sorta di Oscar per film sportivi. Per il suo docu-film, la giocatrice-regista ha visitato i campi della A/1 (alcune sequenze anche del Fila San Martino), intervistando le campionesse del Famila Schio “Chicca” Macchi, Raffaella Masciadri, Giorgia Sottana, i fratelli Thomas e Kathrin Ress, la cestista-modella Valentina Vignali e tante altre, con allenatori, presidenti (Gianni Petrucci) e personaggi di altri sport come la tennista Sara Errani, il ct della Nazionale di calcio femminile Antonio Cabrini, la calciatrice Martina Rosucci e la lottatrice di oktagon Marzia Vadalà.

Ma cosa non va nella palla a spicchi femminile? «Nel mio film, Nidia Pausich, famosa cestista triestina degli anni ’50-’60, ricorda che ai suoi tempi le palestre erano piene di ragazzine che giocavano a basket. Ora non è più così. In Germania, Francia e Spagna, però, le tesserate sono superiori a quelle del calcio. Qui c’è un problema culturale: la pallacanestro è considerata roba da maschiacci, quando invece lo sport è sport e basta. Solo in Italia non abbiamo il professionismo femminile: mancano leggi che garantiscano noi donne. Alcune che ho intervistato hanno poi fatto outing ammettendo che l’omosessualità esiste anche fra le sportive e non è un problema. Il messaggio che voglio lanciare è: fateci praticare lo sport che più ci piace».

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