Da Conconi a Schwazer «Il doping di Stato esiste»

Emotrasfusione ed Epo in 20 anni di collaborazione tra il Coni e il prof ferrarese «È finita solo perché è intervenuto il giudice. Gli amatori? Tante sostanze illecite»

TREVISO. Professor Donati, la definizione che forse più colpisce leggendo il suo libro è quella di “Doping di Stato”. Vuole spiegare il concetto?

«Si è soliti riferire ed imputare ai soli Paesi ad impronta dittatoriale il doping, organizzato a livello istituzionale allo scopo di esibire un’immagine potente e vincente di un regime ma, purtroppo, fin dagli anni della cosiddetta “guerra fredda”, gli Stati Uniti e diversi Paesi dell’Europa occidentale hanno controbattuto con la stessa moneta allo strapotere dell’ex Unione Sovietica, della DDR e della Cina. Tra questi l’Italia, come è dimostrato dall’indagine giudiziaria riguardante i rapporti tra il professor Conconi e il Coni».

Siamo passati dall'emodoping all'epodoping. Ma, sembra di capire, uno è figlio dell'altro. Come è avvenuto questo passaggio?

«In modo conseguente: quando nel 1988 si è cominciato ad usare l’Epo nei reparti di nefrologia o di ematologia, alcuni medici disonesti ne hanno immediatamente compreso le potenzialità dopanti e la più facile (rispetto all’emodoping) modalità di utilizzazione. Prima di tutti, hanno colto questi “vantaggi” coloro che già adottavano sistematicamente l’emodoping».

Lei ha conosciuto Conconi nel 1981. Rifiutandone subito la collaborazione. Già allora il professore di Ferrara era sospettato di pratiche doping nei confronti di alcuni atleti italiani dell'atletica leggera. Dopo vent'anni di collaborazione con i massimi organismi dello sport nazionale e con il governo stesso dello sport italiano, Conconi viene finalmente messo al bando. Perché c'è voluto tutto questo tempo?

«Il sistema sportivo istituzionale ha rinunciato alla collaborazione con Conconi ed il suo staff solo perché è intervenuta un’indagine giudiziaria e il Tribunale di Ferrara ha provato le loro responsabilità nel doping, altrimenti la collaborazione sarebbe proseguita chissà per quanto tempo ancora …»

Nel suo libro lei fa nomi e cognomi illustri, gli stessi che peraltro sono entrati nei processi. Cova, Di Centa, Pantani, Armstrong. Ma nel corso dei controlli emergeva che centinaia di altri atleti avevano i valori compatibili con un'assunzione di sostanze dopanti. I dopati sono quindi una maggioranza?

«Cova non è mai entrato in alcun processo ma ha ammesso lui stesso di aver praticato l’emotrasfusione, così spiazzando, involontariamente, tutta quella corte di mangia pane a tradimento che l’avrebbero sempre negata. Tra gli sport sussistono ancora marcate differenze: in alcune specialità sportive l’enorme diffusione del doping è provata, in diverse altre è evidente e sarebbe facilmente comprovabile con adeguati controlli antidoping a sorpresa supportati da adeguati controlli ematici (l’attuale passaporto ematologico che, però, andrebbe sviluppato), in altre specialità, specialmente quelle ad elevata componente coordinativa, la presenza del doping è marginale.

Da Gattai, a Pescante, da Petrucci a Pagnozzi. Cosa è cambiato? In fondo, i nomi ai vertici dello sport italiano, più o meno, sono sempre gli stessi. Cosa può essere cambiato veramente in Italia nella lotta al doping?

« E’ cambiato perché c’è una legge e ci sono le indagini giudiziarie. Per quanto riguarda il sistema sportivo non è cambiato niente: ha solo imparato a camuffarsi meglio».

L'ultimo caso di doping clamoroso in Italia è quello del marciatore Schwazer. Anche qui, scoperto grazie ai controlli della Wada e non a quelli del Coni? Possibile che nessuno ai vertici sapesse? Lei afferma nel libro: quantomeno lo hanno portato all'olimpiade senza la garanzia che fosse pulito...

«Appunto, e non lo hanno fatto solo per Schwazer ma per tutti, eppure ognuno degli atleti che è andato all’Olimpiade avrebbe avuto il diritto di essere controllato a sorpresa per poi poter inserire questo dato di fatto nel proprio curriculum della trasparenza e della credibilità».

Ritiene che anche nello sport amatoriale, in special modo nell'atletica e nel ciclismo, si faccia uso di sostanze dopanti?

«Se ne fa uso in grande quantità. Nei controlli antidoping realizzati dal Ministero della Salute sugli atleti dilettanti ed amatoriali non è elevata solamente la percentuale dei positivi ma anche quella di coloro che in moltissimi casi abusano di farmaci non doping. Vuol dire che il doping affonda le sue radici non soltanto nell’ossessione del risultato ma anche in una mentalità del tutto medicalizzata che è l’antitesi degli adattamenti naturali che derivano da una sana ed equilibrata pratica sportiva».

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