Dal «Q» alle discoteche di Treviso tutti i locali e le feste dei giocatori

«Cari giocatori del Padova, sappiamo dove andate a divertirvi: dunque state attenti perchè la prossima volta vi veniamo a beccare». Così dicono gli ultrà a muso duro. E se lo dicono significa che sanno. O meglio che «si sa». Si sa che la vita dei calciatori non è esattamente quella dei monaci di Praglia, l’abbazia che si trova proprio dietro i campi di allenamento di Bresseo. E passi. Ma qui si sa, o si presume di sapere, dell’altro: le abitudini, i comportamenti, le frequentazioni. Il «dove trascorri» le serate e il tempo libero. Tutti posti normalissimi, persino banali per ragazzi in età da calciatore; ma che dopo uno 0-0 in casa con il Legnano, non lo sono più. Anzi, nell’immaginario del tifoso tradito diventano posti amorali, luoghi di perdizione. Sesso, droga e rock n’roll.
«Vi veniamo a prendere al “Q”», minaccia uno dei tanti dopo l’ultimo tradimento domenicale, quello che ha fatto saltare i tappi degli ultrà. Già, il «Q». Che sarebbe l’ex cinema Quirinetta in piazza Insurrezione, dove si mangia e si balla al mercoledì e venerdì fino alle ore piccole. E’ il locale più «in» del centro, e annovera fra i suoi soci-proprietari persino un ex presidente del Padova, l’Alberto Mazzocco re dei network. Sarebbe questo, oltretutto in bella vista, il luogo di perdizione dei ragazzoni biancoscudati? O non sarà piuttosto l’«Havana» di Treviso, frequentatissimo dai nostri fino a un paio di annetti fa, insieme a quell’altro locale trevigiano dal nome che è già un programma, l’«Amami», dove in assenza di una pista vera e propria si mangia e poi si usano i tavoli per ballarci sopra?
Fuochin fuochetto. E poi più lontani si è da Padova, meglio è. Sono passati i tempi della serie A in cui i giocatori facevano le star all’«Extra-Extra» di Brusegana. O all’aperto al «Par Hazard» di San Daniele ad Abano, l’ex ritrovo dei mesi estivi, dunque all’inizio o alla fine del campionato. Un po’ come il «Molo 5» di Mestre, altro localone di tendenza, dove le plurifrequentazioni calcistiche pare siano una norma.
Di sicuro, saltellando da locale a locale, non c’entra niente il «Pe Pen» di piazza Cavour, ormai una tradizione dei pallonari biancoscudati. E’ un ristorante e basta, così come lo era lo storico «Cavalca» di Nereo Rocco e del Padova degli anni d’oro. E difatti, ascoltando i sussurri del sottobosco tifoso, ci sono posti in cui il «rischio ciacole» è molto ma molto più elevato. La sala corse di Abano, per esempio. O un paio di bar provvisti di infernali videopoker nelle vicinanze di Bresseo. O addirittura, pensate un po’, il Casinò di Venezia. «Una sera ne abbiamo visti due, erano lì», giurano adesso i delatori dell’ultima ora.
Sarà vero? Ci stupiremmo del contrario. Quando si hanno venti-trent’anni, e in più si ha il fascino del calciatore (e magari anche il suo conto in banca), non si capisce perchè dovrebbe essere diversamente. Se gli esempi che arrivano dall’alto sono Cristiano Ronaldo, che però nessuno contesta e ci mancherebbe pure, o l’Antonio Cassano delle 700 donne, stiamo freschi.
Il fatto è che queste cose succedevano pari pari anche ai tempi del Paron o in quelli più recenti della serie A anni ’90. La differenza era la rete. Piglia Rocco: ne aveva una di informatori fittissima. Netturbini, guardie notturne, dei suoi «manzi» non gli sfuggiva nulla. Una volta ne beccò tre-quattro in ora tarda, dalla finestra uscivano fumo di sigaretta, risate e aria peccaminosa. Li avrebbe fatti a pezzi se Lello Scagnellato, il capitano che era con lui, non l’avesse fermato. Salvo poi, la domenica dopo la partita, congelarli i premi in quanto «il perchè dovreste saperlo».
Non era tanto diverso il Padova di Sergio Giordani e del ds Pierone Aggradi. Quando le spie telefonavano a Giordani per dirgli che a mezzanotte in discoteca avevano visto tizio e caio, lui chiedeva a Pierone: «E’ vero?». E Pierone, mentendo: «Impossibile presidente, sono bravi ragazzi e posso assicurare». Salvo poi cazziare duramente i due nello spogliatoio, minacciando di lasciarli fuori squadra. O di dirlo alle rispettive mogli.
Ecco, c’era una rete. Una rete che tutelava la società, ma tutelava anche i ragazzi impedendo loro di farsi beatamente del male. Oggi che il Padova è senza rete, i trapezisti biancoscudati, di male, rischiano invece di farsene tantissimo. L’una e gli altri.
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